Le cose che credevamo di sapere di Mahsuda Snaith | Recensione di Sandy

“Ho ricomposto la storia nella mente come fosse un puzzle, ma unendo i tasselli a forza senza rispettare il disegno.”

IL ROMANZO

Prezzo: € 16,90

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Un romanzo d’esordio fresco e intenso, delicato e commovente, che insegna a ricominciare dalle proprie radici.

Ravine Roy ha diciott’anni e festeggia il suo compleanno a letto, dove si trova ormai da dieci anni. E non ha in programma di alzarsi nel futuro immediato. D’altronde non ha alcun desiderio di affrontare il Grande Mondo di Fuori. “Non vorresti almeno provarci?” domanda sua madre. Ma Ravine non vuole. Non può. Soffre di una sindrome che le causa dei dolori cronici che le impediscono di muoversi. Da quel giorno di dieci anni fa. Quel giorno in cui tutto è cambiato. Il giorno in cui è scomparsa la sua amica del cuore. E attraverso il lento confrontarsi di Ravine con i ricordi e le rimozioni il lettore scoprirà le vicende del passato mentre, nel presente, l’energica mamma, Amma, metterà in atto tutti i suoi trucchi per far reagire la figlia e contemporaneamente nasconderà un segreto o due sotto i profumi irresistibili della cucina bengalese.

Let’s talk about “The Things We Thought We Knew”

 

“Ho ricomposto la storia nella mente come fosse un puzzle, ma unendo i tasselli a forza senza rispettare il disegno.”

Ravine Roy ha trascorso gli ultimi dieci anni della sua vita confinata nel suo letto, affetta da dolore cronico, che le impedisce di svolgere qualsiasi attività. Proiettata costantemente nel passato, la ragazza continua a rivivere i suoi ricordi da bambina per trovare la risposta alla domanda: cos’è cambiato?

La giovane continua a vedere la sua vita passarle davanti mentre attorno le persone cominciano a chiedersi quale sia la causa del suo male. A soli diciotto anni la ragazza combatte con un male più grande di lei. Il dolore è un’esperienza spiacevole sensoriale, ma soprattutto emozionale, associata ad un danno reale. Il dolore cronico non è una malattia trascurabile, il disturbo di cui è affetta Ravine non le permette di vivere e sua madre è così disperata da non sapere più che cosa fare. In tutti i modi cerca di incoraggiare sua figlia a combattere contro il suo demone, ma la verità è che Ravine non vuole combattere e non cerca salvezza, solo risposte.

“La vita è sofferenza. La vita è lotta. Ma soprattutto, la vita è una serie di scelte.”

Nonostante tutti gli sforzi continua ad essere incatenata al dolore che si propaga come un cancro lungo ogni centimetro del suo corpo, la giovane continua ad essere succube del suo malessere, malessere il quale ha cominciato a generarsi alla scomparsa della sua migliore amica Marianne.

Marianne e Ravine erano migliori amiche. Il loro rapporto è quello che sogna chiunque, un legame duraturo e forte, difficilmente spezzabile. Per qualche strana ragione, un giorno, cercando di focalizzarsi sulla scomparsa di Marianne, Ravine fatica a mettere a fuoco quel dettaglio, perciò comincia a scrivere un diario. L’ultima trovata di sua madre per aiutarla ad uscire fuori da questa condizione. Si tratta di un diario del “dolore” che racchiude la storia di lei e della sua migliore amica. Le pagine racchiudono l’essenza del ricordo di Marianne e della vecchia Ravine, quella spensierata, alle prese con gioie e dolori.

“Siamo nate senza poter scegliere, cresciute in mezzo alle tragedie altrui e trascinate dalle correnti della vita.”

Il diario diventa la nostra guida attraverso il viale dei ricordi di Ravine e Marianne, improvvisamente si torna nel passato. Le due erano molto legate, nonostante i problemi con l’alcool della madre della sua migliore amica e i vari problemi di Ravine, la loro amicizia era più solida che mai. Qualcosa però cambia col procedere della storia, gli eventi che hanno traumatizzato Ravine cominciano a farsi sentire. Buttare giù tutto nero su bianco è l’unico modo per affrontare gli orrori del passato.

Ravine è un personaggio complesso. Per la maggior parte della lettura non capivo la sua testardaggine nel continuare a chiudersi in sè stessa e non voler essere aiutata. È frustrante leggere una chiusura mentale di questo genere, difficile da comprendere se non ci si è mai trovato in quella condizione. Certe volte è facile giudicare un libro dalla copertina, ma se si comincia a guardare attentamente ci si renderà conto che i dettagli fanno la differenza. Quei dettagli sono i frammenti del passato di Ravine che, nonostante sia intrappolata nel suo dolore, quando ripensa al passato, torna bambina e il suo animo si allegerisce. Sentire una piccola Ravine tra le righe mi ha strappato un sorriso, la sua innocenza e curiosità tipica dei bambini era palpabile, così come quando ritorna al presente e il suo sguardo diviene vuoto, colmo di malinconia.

 “Le cose che credevamo di sapere” è l’esordio di un’autrice destinata a diventare grande. La sua è rielaborazione delle sue bozze da sedicenne. Dalle righe emerge il suo amore per la scrittura. La sua prosa è delicata e il suo stile fluido permette di avanzare senza troppi intoppi con la lettura. Col tempo la sua dedizione per la scrittura le è servita per migliorarsi, lo si denota dalla sua abilità nel tratteggiare i suoi personaggi e le loro storie. Il suo romanzo affronta un tema importante, quello del dolore, non visto solo dal punto di vista fisico ma soprattutto psicologico.

I ricordi sono vita e spesso riescono a intrappolare l’essenza delle persone. Per Ravine i ricordi sono racchiusi nel suo diario e costituiscono l’essenza della sua situazione.

 

 

 

 

 

Note sull’autrice – Mahsuda Snaith:

Mahsuda Snaith ha vinto nel 2014 il SI Leeds Literary Prize, il Bristol Short Story Prize ed è stata finalista al Myslexia Novel Writing Competition nel 2013. Vive a Leicester dove tiene dei workshop di scrittura e insegna alle scuole elementari. Mahsuda Snaith è appassionata di libri (ovviamente) e di croquet (meno ovviamente). Le cose che credevamo di sapere è il suo primo romanzo. 

 

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