A tu per tu con Isabella Bignozzi

 

Isabella Bignozzi nasce a Bologna nel 1971, vive e lavora a Roma. Odontoiatra, ha sempre avuto una passione particolare per la ricerca, la storia antica, la letteratura. È autrice di numerosi articoli e comunicazioni medico-scientifiche di rilevanza internazionale; ha pubblicato i suoi racconti presso varie riviste letterarie.

 

Editore: La Lepre Edizioni
Data di uscita:  24 febbraio 2020
Pagine: 336
Prezzo: 20.00 €

Ippocrate, giunto alla vecchiaia, racconta a pòlybos, suo allievo prediletto, le sue memorie: la fanciullezza nell’isola di kōs, l’adolescenza tra inquietudini e nuove consapevolezze, gli insegnamenti del padre, anch’egli medico e suo primo e più grande maestro; i suoi incontri con i personaggi illustri dell’epoca, le vicende drammatiche che lo hanno segnato nel profondo. Parla di malanni, interventi e terapie, espone tecniche dell’arte medica del V secolo a.C. Ippocrate apprendendo dai suoi maestri, diviene egli stesso un maestro; viaggia in tutte le terre conosciute, sfiora eventi storici grandiosi, impara a curare gli altri e ad amare il suo prossimo in un modo sofferto, innovando la sua arte con brillanti intuizioni. Il romanzo è frutto di una accurata lettura del corpus hippocraticum, l’insieme degli scritti attribuiti al celebre Ippocrate, autore del giuramento e padre della medicina occidentale. Alcune particolari scelte narrative sono motivate appendice, che riporta anche brevi riferimenti storici e interpretativi.

 

 

Benvenuta Isabella nella nostra piccola Stamberga, è un vero piacere fare la tua conoscenza e approfondire insieme il tuo romanzo, Il segreto di Ippocrate

 

  • Come è nata l’idea di Il segreto di Ippocrate?

L’idea del romanzo è nata dalla lettura delle opere di arte medica di Ippocrate, che ho trovato disponibili nel web (in particolare il Corpus Hippocraticum – compendio di tutte le opere attribuite a Ippocrate raccolte da Émile Littré in: Hippocrate. Oeuvres Completes, Jean-Baptiste Baillière, 1839). All’inizio non avevo alcuna intenzione di scrittura, mi guidava solo la curiosità. I suoi scritti sono dei diari clinici molto tecnici: parlano di febbri, di epidemie, di umori; di pozioni, unguenti, suffumigi; di antichi anestetici e manovre chirurgiche. Ma sentivo in essi una voce di fondo, una voce buona: quella di uno studioso implacabile, strenuo nel combattere il male degli altri, fino a mettere in pericolo se stesso; quella di un guaritore tormentato dalla sua stessa purezza, non disposto a barattare in alcun modo la propria integrità. Insomma, questa voce, io avevo bisogno di farla parlare.

 

 

  • C’è un episodio che ti si è delineato prima degli altri?

Il prologo, sicuramente, è arrivato per primo. Leggendo il Corpus ho capito che le sue parole parlavano ancora alla mente e al cuore di ogni medico: ha osservato e studiato, senza mai darsi per
vinto, mali sconosciuti, annotando ogni singolo particolare nella speranza di comprendere, di risolvere. Ha combattuto contro entità di cui non conosceva l’esistenza, come virus e batteri, solo
vedendone gli effetti; valutava e notava la trasmissibilità di alcune malattie, cercava in ogni modo di
opporvisi, studiando i testi che aveva a disposizione, cercando di apprendere in ogni terra
conosciuta, confrontandosi con i sapienti di altre culture. Insomma, leggendo il Corpus, e in
particolare i frammenti di alcune delle opere in esso contenute (come Le epidemie, il Prognostico,
sul Regime delle malattie acute; sulle Arie, le Acque e i Luoghi) ho iniziato a immaginare un
medico anziano, curvo sullo scrittoio, desideroso di raccontare la sua vita e la sua arte. Una mattina
d’estate questo venerabile vecchio ha iniziato a raccontarmi di sé, dettandomi letteralmente il
prologo. Poi, nel corso di un anno circa, mi ha dettato tutto il romanzo.

 

 

  • Come mai hai scelto di dedicare un romanzo alla figura di Ippocrate?

Ho svolto per molti anni la professione medica, prima di dedicarmi alla scrittura. È singolare, ma in
quei lunghi anni di soddisfazioni e di difficoltà, di incontri più o meno positivi, di riflessioni sul mio
lavoro, il nome di Ippocrate riecheggiava spesso nei miei pensieri, soprattutto quando vivevo
qualche situazione di incertezza o di contrasto con ciò che mi circondava. Mi affidavo al pensiero di
questo grande personaggio, le cui parole alte avevo conosciuto nel giuramento che ogni medico fa a
inizio carriera, lo vivevo come un padre spirituale.
Ebbene, Ippocrate mi ha accompagnato come simbolo etico per molti anni, fino a quando la
curiosità mi ha spinto a leggere per esteso i suoi scritti e a sviluppare una strana amicizia a distanza
con questo grande sapiente, vissuto venticinque secoli prima di me. L’ho sentito vicino, come se lo
conoscessi personalmente. E ho voluto dargli un volto, delle vicende, dei pensieri. È venuto tutto in
modo molto naturale.

 

 

  • Chi dei tuoi personaggi è il tuo preferito? Hai qualcosa in comune con lei/lui?

Il mio personaggio preferito è proprio lui, Ippocrate, ma non oso neppure pensare di somigliargli.
Ho in comune con lui la tendenza allo studio e all’introspezione, e l’ideale di perseguire l’integrità.
C’è una certa somiglianza tra il suo carattere e il mio riferendosi però a quand’era ragazzo, pieno di
insicurezze e malinconie; invece somiglio molto poco all’Ippocrate adulto, quello compiuto, sicuro
di sé e della propria arte. Ma il personaggio cui mi piacerebbe ancor di più somigliare è sua madre
Fenarete, una fonte continua di luminosa e pacata fermezza che incarna nel mio sentire l’emblema
stesso della dignità femminile.

 

 

  • Qual è stato l’aspetto più impegnativo da ricostruire fedelmente?

È stato impegnativo ricostruire la cornice storico-geografica, senza dubbio, di un’epoca così
lontana: descriverne la natura, gli animali, gli arredi, l’abbigliamento; ma anche ricostruire le
vicende storico-politiche del tempo (in questo mi hanno aiutato Erodoto, Tucidide, Senofonte);
immaginare da zero la sua infanzia, di cui non si fa menzione da nessuna parte, il modo di giocare,
di passare il tempo per un ragazzo aristocratico di una nobile dinastia confinata però in una piccola
isola ai confini del mondo greco; infine studiare le sue opere e raccontare le terapie e gli interventi
per come davvero venivano svolti all’epoca, evitando anacronismi. Ma più che impegnativo direi
divertente, e molto stimolante.

 

 

  • Quale tappa della vita del protagonista è la tua preferita?

La parte in cui diventa discepolo del padre, e inizia a credere nel suo sogno di diventare medico,
costruendo giorno dopo giorno le sue conoscenze e la sicurezza in se stesso.

 

 

  • Se avessi la possibilità di fare una domanda ad Ippocrate quale sarebbe?

In realtà gliene ho fatte tante, e mi ha sempre risposto. Quello che ancora gli chiederei è un conforto
per quello che stiamo vivendo in questi mesi. Sono sicura che avrebbe parole sagge e piene di
speranza per tutti noi.

 

 

  •  Cosa ti affascina maggiormente della Grecia del V secolo a.C.?

Quel periodo deve essere stato meraviglioso come pochi altri. La Grecia e Atene rappresentavano il
cuore della cultura occidentale. Ne immagino l’atmosfera, i mercati, i templi, i teatri, l’agorà. Il
desiderio di partecipazione politica dei cittadini, di disquisizione filosofica, di condivisione delle
conoscenze. Immagino Socrate con la sua tunica lisa, l’arcata nobile delle sopracciglia corrucciate,
lo sguardo intenso; lo vedo camminare a viso basso per la via panatenaica, poi fermarsi nell’agorà,
intrattenere i passanti con le sue teorie e riflessioni, i suoi precetti morali; con la sua fermezza, la
sua umiltà. Poi mi sembra di vedere la bellezza che doveva essere ovunque, l’architettura e le arti
che animavano le poleis; il Partenone in costruzione sull’acropoli, un tempio inondato di luce; e poi
il Pireo, le Lunghe Mura; e infine, il senso di pace: Atene e Sparta proprio allora avevano stipulato
un trattato che auspicava trent’anni di non belligeranza e prosperità tra la Lega Delio-Attica e la
Lega Peloponnesiaca. Un’altra cosa che mi affascina fin dal liceo è l’idea del fermento culturale che doveva esserci tra i filosofi che indagavano la natura e la composizione del cosmo: Democrito,
Parmenide di Elea, Zenone; la scuola Pitagorica, Democede, Empedocle. Penso alla Magna Grecia,
alle splendide città di Crotone e Agrigento.

 

 

  • Se dovessi associare una canzone al tuo romanzo quale sceglieresti?

Wish You Were Here dei Pink Floid

 

 

  • Hai incontrato difficoltà particolare nella stesura del tuo romanzo?

Difficoltà non direi. Solo tanto studio e concentrazione.

 

 

  • Cosa significa per te la scrittura?

Essendo io piuttosto introversa, la scrittura è il modo più profondo e intenso che ho di comunicare
con gli altri esseri umani. Penso che la scrittura sia sempre un tentativo di accendere una luce che
illumini sia lo scrittore sia il lettore con nuovi ragionamenti e prospettive, rendendoli entrambi più
consapevoli, più umani, persone migliori.
Scrivere è il modo in cui riesco a esprimere meglio ciò che ho dentro, e che altrimenti faticherebbe
a venire fuori. La possibilità di raccontare storie permette di esplorare tutta la gamma dei sentimenti
e degli stati d’animo umani, ogni carattere, intenzione, ogni circostanza o avvenimento. È un mondo
nel mondo, in cui si può sperimentare e analizzare tutto, spaccare il capello in quattro, oppure al
contrario tratteggiare un’atmosfera o un personaggio con una frase, una sola parola, rendendoli
indimenticabili. Ogni scrittore (e ogni lettore) ha il suo ritmo, il suo colore, la sua via per accedere a
determinati pensieri ed emozioni. Quando un lettore e uno scrittore che parlano lo stesso linguaggio
o hanno lo stesso passo s’incontrano, avviene la magia. La scrittura (e la lettura) sono per me un
abbraccio intellettuale, intimo che non conosce barriere né di tempo né di spazio.

 

 

  • C’è qualche curiosità che non hai scritto nel romanzo ma puoi condividere con noi lettori?

C’è un episodio molto popolare che si tramanda riguardo Ippocrate: si dice che egli fu chiamato alla
corte di Perdicca II, re della Macedonia, perché il sovrano soffriva di un malessere sconosciuto che
lo stava consumando. Il medico disse che la malattia del re era unicamente causata dall'amore
segreto che egli provava per una concubina di suo padre. Questo aneddoto del principe innamorato
è stato tramandato come una favola fin dall’antichità classica, ma era in realtà un motivo narrativo
migrante che figurava in contesti diversi e veniva riferito a vari medici. Poiché volevo un
personaggio credibile, lontano da apologie stucchevoli, nel mio libro di questa leggenda non ho
fatto menzione.

 

 

  • Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Leggere e studiare, perché quella è la mia più grande passione. E poi, se mi sarà dato, scrivere. Ma
solo se mi sembrerà di avere da dire cose importanti, e se saprò dirle bene.

 

 

Ti ringrazio per il tempo che ci hai dedicato, è stato un vero piacere conoscerti!

 

 

 

 

 

 

May the Force be with you!
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