Editore: Dalia Edizioni
Data di uscita: 11 marzo 2019
Pagine: 176
Prezzo: 14.00 €
Benvenuto Nicola nella nostra Stamberga, è un vero piacere fare la tua conoscenza e approfondire insieme il tuo libro.
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Come è nata l’idea di Trovami un modo semplice per uscirne?
E’ nata da una volontà. Quella di descrivere il vuoto. O almeno la sensazione che la mancanza di prospettive provoca in ognuno di noi. Per portare a compimento quest’idea mi sono avvalso di tutta l’incongruenza dei nostri giorni e, attraverso una forte componenente di musicalità, ho infiocchettato un cadeau dal profumo di anni dieci.
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Cosa ti ha spinto a scrivere la tua opera unicamente sotto forma di dialogo?
La voglia di dare la priorità ai due personaggi. Non volevo che ci fossero filtri. O distrazioni. In scena ci dovevano essere soltanto loro col proprio disagio. Sai: è stato così affascinante starli ad ascoltare che… cioè, perché avrei dovuto sporcare questa poesia?
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Hai avuto qualche dubbio/perplessità su questa scelta?
Tutti i dubbi di questo mondo. Naturale. E’ proprio questo il bello, no? L’ebrezza di camminare sul filo del rasoio. La bellezza di quando tutto è senza senso. Una pace. Come potevo liberarmene? Non potevo. Eccomi, con la mia valigia piena di dubbi che busso alla porta della notte. Mi vedi?
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Preferisci uno dei tuoi personaggi in modo particolare? Hai qualcosa in comune con lui?
Due personaggi? Uno? Due? E se Nick e l’altro rappresentassero i due tratti che contraddistinguono lo stesso personaggio? Infondo l’altro mica ha nome, o sbaglio? Ok, mettiamo il caso che fossero due… e se esprimessero una complementarietà? A pensarci bene, sono poi così diversi? Hanno un’idea di rivoluzione tanto discordante? Oddio, ho perso il filo del discorso. Quale era la domanda iniziale?
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Descrivici i due protagonisti con tre aggettivi.
Giovani. Alternativi. Moderni. Perché? Perché a vent’anni si è giovani e anche un po’ acerbi. Voilà che si sbagliano i tempi, si fa confusione. Alternativi? Almeno credono di esserlo, più che altro ambiscono ad esserlo ma… lo sono davvero? Moderni… moderni nei modi di fare, moderni nei ragionamenti. Alla fine sono lo specchio di quel che vedono. Petali di papavero trasportati dal vento, la corrente. Schiavi? Liberi? Rivoluzionari? Vittime? Questo non lo so.
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Cosa significa brevemente “Rivoluzione!”?
“Rivoluzione!” è una parola piena ma anche un sacco vuota. Un marchio forse. Un brand. Uno show televisivo di successo. Un’idea da dare in pasto al mercato. Un suono rotondo. Un’analisi di intenti. Il fallimento. La fama. Le donne. La possibilità di uscirne. Quello scantinato. La vita. La morte. Le luci della ribalta. Tutto. Adesso che ci penso: niente.
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Quale messaggio vorresti arrivasse ai lettori?
Quello che deve arrivare. E’ un’opera concettuale. Non c’è una sola chiave di lettura. E’ un romanzo. Non è un romanzo. E’ un romanzo rock. Non è un romanzo rock. Un canto generazione. Nulla di tutto questo. Alla fine stiamo parlando di qualcosa di vicino ad un dipinto. Io posso fornire gli strumenti poi sta al lettore… Faccio male?
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Se dovessi associare una canzone al tuo libro quale sceglieresti?
Domanda fighissima. Grazie. Forse “Del nostro tempo rubato”, il capolavoro dei Perturbazione. Ma ce ne sono anche altre. Perché? La risposta sta tutta nel testo.
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Ti sei ispirato ad un libro o ad un autore in particolare?
No. Sono partito da zero. Dato che ci siamo ti svelo un segreto. L’idea di fondo l’ho presa dal loop concentrico delle catene di montaggio. La musicalità invece si rifà un sacco all’elettronica. Tutto infatti tende a ripetersi in modo nevrotico. Anche i movimenti dei due personaggi sono assai standardizzati. Le parole sono lì per creare disordine. Non lo so. Quello che ho fatto è stato spostare la telecamera in modo da mettere a fuoco obbiettivi sempre diversi.
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Ci consiglieresti tre romanzi?
Volentieri. Visto che La stamberga d’inchiostro è da sempre molto attenta alle proposte delle piccole case editrici anche io percorrerò questa linea ok? Bene: queste sono tre piccole perle che meriterebbero più spazio. “Cereali al neon” di Sergio Oricci (Effequ), “Gaijin” di Maximiliano Matayoshi (Funambolo) e “La notte in cui suonò Sven Vath” di Lucio Aimasso (Casasirio).
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Quali sono le difficoltà che hai incontrato durante la scrittura?
Beh. Numerose, devo essere sincero. La prima è dovuta alla musicalità. Ogni parola è collocata sul testo al pari di un nota all’interno di uno spartito musicale. E’ stata una vera missione, la mia. Una faticaccia. Per fortuna mi è stato riconosciuto. Al di là dell’exploit del Premio Italo Calvino che, bomba!, il non-romanzo sta raccogliendo un sacco di consensi. Cioè: super-bene.
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Hai qualche consiglio per chi sogna di intraprendere questo cammino?
Nessuna formula magica. C’è da lavorare tanto. Ricordiamoci sempre che scrivere senza leggere è come voler giocare a calcio senza correre. Quindi impossibile. In linea di massima per prima cosa consiglio sempre di diventare lettori consapevoli poi da cosa nasce cosa, dico bene?
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Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto lavorando ad un progetto teatrale. Frulla nella mia testa che è un piacere. Faccio pranzo e fa “ta”. Vado a fare la spesa e fa “ta”. Guardo la tv e fa “ta”. Ho provato a spalmarci sotto una colonna sonora coi fiocchi, adesso fa…
Tatata tarata tata tatata tarata tata…
Tatata tarata tata tatata tarata tata… che senza accorgermi mi sono messo a battere la mani a tempo.
Ti ringrazio tantissimo per il tempo che ci hai dedicato, è stato un vero piacere!