A tu per tu con Omar Viel

Omar Viel ha studiato Conservazione dei Beni Culturali e si occupa di comunicazione in diversi ambiti, tra i quali quello artistico. È stato finalista del Premio Italo Calvino nel 1992 e ha pubblicato racconti su ‘Nazione Indiana’, ‘Nuova Prosa’ e nell’antologia ‘Venise, collection Bouquins’, pubblicata dall’editore francese Robert Laffont.

 

 

Editore: Adiaphora
Data di uscita: 30 settembre 2019
Pagine: 212
Prezzo: 3.99 € ebook ; 16.00 € cartaceo

Gordon Wilson non si sarebbe dovuto trovare in quella casa. Inebriato dal fascino di una giovane sconosciuta, così simile a sua moglie Una, dà inavvertitamente vita a un incendio e, dalle fiamme, scivola nella realtà la sinuosa figura di una tigre. Gordon fugge, lasciando la propria famiglia disorientata. È un passaggio di testimone, quello con la figlia Liz, che da Bristol si reca a Londra alla ricerca del padre, per scoprire infine antichi prodigi e svelare i misteri degli Wilson. Passato e presente si intrecciano nella simbologia della specularità. Un viaggio fatto di incontri bizzarri con personaggi eterei, in equilibrio tra il mondo del visibile e quello dell’invisibile, tra l’universo tangibile e quello dell’immaginazione. Un cammino esistenziale, fisico, letterario, con incursioni nel poetico. Un romanzo composito nel quale si innesta un generoso tributo al Romanticismo inglese, che invita a lasciar andare gli ormeggi della ragione per abbandonarsi al dominio del possibile.

 

Benvenuto Omar nella nostra Stamberga, è un vero piacere fare la tua conoscenza e approfondire insieme il tuo romanzo.

 

Come è nata l’idea di Fulgore della notte?

È nata da un lungo soggiorno a Londra. Quando vivevo a Maida Vale a volte prendevo la “tube” e raggiungevo un ponte pedonale sul Tamigi che oggi non esiste più. Come ho già avuto modo di scrivere, mai come là, al centro del grande fiume, il mondo mi sembrava popolato di vita invisibile.

 

 

C’è un episodio che ti si è delineato prima degli altri?

Sì, l’incontro tra Gordon e Una. L’incontro, appunto, tra visibile e invisibile.

 

 

Chi è il tuo personaggio preferito? Hai qualcosa in comune con lei/lui?

Non c’è un personaggio che preferisco, ma come Liz e Gordon anch’io appartengono a un mondo dove i ruoli si possono confondere e invertire, dove un padre può facilmente diventare il figlio di sua figlia e la figlia una madre per suo padre. Come nel famoso verso di Wordsworth: “Il bambino è padre dell’uomo”.

 

 

Descrivici Gordon Wilson e Liz Wilson con tre aggettivi.

Non me lo chiedere, non posso farlo. Sono personaggi così impermeabili alle definizioni che li priverei della loro poesia.

 

 

Il tuo romanzo è davvero particolarissimo, il retrogusto un po’ fumoso e confusionale che mi ha lasciato a fine lettura è un fattore voluto?

Immagino sia tutta colpa dell’incendio nel primo capitolo. Fumo, confusione, intendo dire. No, la tradizione a cui appartiene “Fulgore della notte” è quella che Kundera chiama “il primo tempo del romanzo”. Nata con l’opera di Cervantes, si contrappone, spesso senza compromessi, al romanzo realistico ottocentesco. I testi di tradizione “cervantina” sono un inno al gioco, al sogno, al pensiero e all’immaginazione. E così va inteso “Fulgore della notte”. Come un romanzo che si esprime soprattutto per immagini: il linguaggio dei sogni e dell’anima. Un modo di narrare e leggere che richiede ispirazione, più che interpretazione.

 

 

Mi ha affascinata moltissimo la figura della tigre misteriosa, ha un particolare significato? Come mai hai scelto questo animale?

La tigre ha da sempre una valenza simbolica contrapposta. Evoca, da un lato, idee di potenza e ferocia, dall’altro (soprattutto nel buddismo), la fede e lo sforzo spirituale. Rappresenta l’offuscamento della coscienza travolta dagli istinti, ma allo stesso tempo ne è anche la sublimazione. Nessun animale, credo, avrebbe potuto attraversare con altrettanta efficacia i territori di questo racconto.

 

 

Cosa pensi riguardo il concetto di “normalità”?

La normalità è una condizione fragile, un ideale. Pensare alla normalità è un atto così invadente, così pieno di complicazioni, che basta da solo a comprometterne l’equilibrio, a sancirne la negazione.

 

 

Se dovessi associare una canzone al tuo romanzo quale sceglieresti?

“London calling” dei The Clash.

 

 

Hai incontrato difficoltà nella stesura del romanzo?

Non è stato semplice descrivere il bisogno di Gordon e Liz di misurarsi con qualcosa che Una conosce bene fin dall’infanzia: la dimensione degli Invisibili. In questo senso “Fulgore della notte” è il viaggio di iniziazione di due personaggi: quello dell’adolescente Liz e quello, tardivo, di suo padre. Ma è anche, credo, una riflessione sul peso che struggimento, spiritualità e immaginazione occupano nelle nostre vite.

 

 

C’è qualche curiosità che non hai scritto nel romanzo e vuoi condividere con i lettori?

Sì, una citazione da James Hillman che avrei voluto inserire a epigrafe del libro. “La compresenza di visibile e invisibile è ciò che alimenta la vita.”

 

 

Cosa significa per te la scrittura?

Scrivere per me significa fare esperienza delle sonorità del Creato. Raccontare, invece, è un canto.

 

 

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Sto lavorando alla storia di un artista e del suo biografo che si incontrano per cena in un ristorante di Londra. Non un semplice ristorante, ma un ristorante dove servono il “fugu”, una pietanza potenzialmente molto velenosa. Un rituale consolidato negli anni, una “cena al veleno” che sancisce il loro legame e che potrebbe rivelarsi fatale.

 

Ti ringrazio per il tempo che ci hai dedicato, è stato un vero piacere conoscerti!

 

 

 

 

May the Force be with you!
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