A tu per tu con Valentina Bardi

 

Valentina Bardi vive nella provincia di Forlì-Cesena, a Galeata. È diplomata in sassofono presso il Conservatorio “Bruno Maderna” di Cesena ed è laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università degli studi di Bologna Alma Mater Studiorum. Da sempre appassionata di libri, fa parte del Gruppo di lettura “Teodorico” di Galeata, che da svariati anni propone incontri pubblici e-reading su autori italiani e stranieri. Ventiquattro è il suo primo romanzo.

 

 

Editore: Società Editrice «Il ponte Vecchio»
Data di uscita: 2019
Pagine: 256
Prezzo: 15.00 €

Martina sta per compiere diciotto anni e frequenta un ragazzo che a sua madre non piace. Perché è il figlio del padrone della fabbrica locale, perché sua madre è una sindacalista come quelle di una volta e insomma quel ragazzo (com’è che si chiama, Matteo?) non lo vuole in casa sua. Martina sta per compiere diciotto anni e sempre più spesso si sente una mosca bianca, in famiglia. La madre, Giada, tutta
d’un pezzo. Il padre, Andrea, che non c’è mai. Fa il giornalista, inviato in zone di guerra, e sembra che per lui contino più i drammi del mondo che quelli di casa sua; sembra anche, quando si fa vedere, che lui e la mamma non vadano più tanto d’ac-
cordo. E poi la sorella maggiore e i fratelli minori di Martina, ognuno alle prese con i propri problemi grandi e piccoli… problemi che la riguardano fino a un certo punto. Nonostante tutto, però, sembra che il microcosmo che ruota attorno a Martina, ben radicato in un piccolo comune della provincia romagnola, sia in grado di vivere la vita senza troppi sconvolgimenti. Sembra. Perché un evento inaspettato costringerà la ragazza, la sua famiglia e l’intera comunità con cui si intreccia, a rivedere le proprie convinzioni e a reinventare la propria visione del mondo.

 

Benvenuta Valentina nella nostra piccola Stamberga, è davvero un piacere fare la sua conoscenza e trovarci per una chiacchierata riguardo il suo romanzo.

 

  • Come è nata l’idea di Ventiquattro?

L’idea nasce dal personaggio di Andrea, il padre di questa famiglia; un uomo inquieto e sfuggente che, come tutti i personaggi di questa storia, è alla ricerca di se stesso. A mano a mano che l’ossatura di questo personaggio si faceva più chiara, anche la trama si dipanava e ad un certo punto ho avuto in testa tutto lo sviluppo del romanzo.

 

 

  • C’è un significato particolare dietro il titolo del suo romanzo?

Sì, il titolo è già un elemento fortemente narrativo all’interno del romanzo. Ha un significato speciale per Martina (la protagonista), ed è anche un “messaggio” di poetica perché racconta uno dei temi del libro. Lo si capisce però, solo dopo aver oltrepassato un certo punto della storia. Per questo considero il titolo anche una sorta di piccolo, grande “regalo” che faccio al lettore: una volta che hai letto, puoi comprendere tutta l’importanza che questa parola ha acquisito.

 

 

  • C’è un episodio che le si è delineato prima degli altri?

Sì: direi il momento in cui, all’inizio, Martina rientra a casa e attraverso i suoi occhi abbiamo una prima impressione del luogo e del tempo; la descrizione di quello che lei definisce “il casone”, diventa gradualmente una sorta di pretesto per capire come vede i suoi genitori e, in generale, tutta la sua famiglia.

 

 

  • Ci descriva i protagonisti della storia.

La protagonista è Martina, figlia di Giada, sindacalista, ed Andrea, giornalista, inviato di guerra. Martina ha una sorella più grande, Elena, e tre fratelli più piccoli. Questa famiglia vive in un luogo imprecisato della Romagna e nel momento in cui comincia la storia, Andrea rientra a casa dall’Afghanistan perché Elena non ha portato a termine la gravidanza: perde infatti il suo bambino all’ottavo mese. In un momento così difficile per la primogenita, Martina sta invece per compiere diciotto anni e si è innamorata per la prima volta. Sta frequentando Matteo, un giovane universitario, figlio dell’imprenditore del paese, vicino agli ambienti della Lega. Il contrasto emozionale fra le situazioni delle due sorelle fa da sfondo alla profonda crisi di coppia che stanno vivendo Andrea e Giada: pur condividendo gli stessi valori, il loro rapporto si è completamente sfilacciato e non riescono più a comunicare.

 

  • Chi è il suo personaggio preferito? Ha qualcosa in comune con lui/lei?

Non posso dire di avere un personaggio “preferito” nel vero senso del termine, perché per ragioni diverse, tutte le figure di questo romanzo significano qualcosa per me. Tuttavia il personaggio di Federica, una delle due amiche di Martina, è sicuramente quello a cui mi sento più grata sia a livello di scrittura sia di significato. E’ stato il personaggio in assoluto più difficile da “lasciar andare” (come direbbe Elizabeth Strout), ma anche la figura che incarna il senso ultimo di questa storia: inizialmente ci colpisce per la sua apparente durezza, ma piano piano ci trascina dentro il suo mondo: un mondo pieno di dolore, di bisogno di tenerezza e di grande sensibilità verso l’altro.

 

 

  • Secondo lei quale potrebbe essere la sfida più grande nel diventare grandi?

Credo che la sfida più grande nel diventare grandi sia riuscire a superare quegli step ed ostacoli che, inevitabilmente crescendo, siamo obbligati ad incontrare. Superarli non significa per forza “vincerli”: significa semplicemente affrontarli, avere la forza di accettare che a volte sono più grandi di noi e che già il solo fatto di prenderne atto è sinonimo di buon senso e, perché no, coraggio.

 

 

  • Qual è invece la sfida più importante affrontata dalla protagonista?

Martina all’inizio viene risucchiata dal dolore. Quello che è costretta a vivere le sembra inaccettabile, impossibile e per forza di cose si sente spinta verso il basso, verso una specie di buco nero (che nel concreto è esemplificato dalla parete della sua camera). Poi vive la sua epifania: capisce che essere schiacciati dal dolore non è una soluzione; è solo un modo per rifiutare la vita e non è giusto. Allora, a piccoli passi, si rialza e prova in punta di piedi a riaffacciarsi al quotidiano. Sembra una cosa banale e piccola, invece è una sfida enorme e lei prova a mettercela tutta.

 

 

  • Come mai la madre di Martina non riesce ad accettare il ragazzo amato dalla figlia? Potrebbe essere paura?

All’inizio è per partito preso: Giada è una sindacalista, molto impegnata nel sociale ed è cresciuta con una visione del mondo e della vita di sinistra. Il solo fatto che Matteo sia il figlio di un imprenditore e frequenti gli ambienti della Lega, la destabilizzano. Non le piace quindi a prescindere. E’ un problema che nella prima parte del romanzo hanno quasi tutti i personaggi: guardano gli altri basandosi sul modo in cui sono etichettati (sindacalista, giornalista, leghista, comunista etc…): per imparare ad andare oltre, ci vorrà del tempo e dovranno succedere delle cose.

 

 

  • Può raccontarci l’evento che sconvolgerà la vita di Martina?

Purtroppo non posso rivelarlo perché svelerei troppi elementi della trama… Posso però dire che questo evento finirà per sconvolgere la vita di molti e quasi tutti si ritroveranno a vivere   quello che io definisco “il grado zero” della vita. Da quel momento, ognuno a suo modo, dovrà provare a ricostruirsi e a riverificarsi.

 

 

  • Come mai ha scelto di ambientare il suo romanzo nella provincia romagnola?

Perché io vivo in un paesino della provincia di Forlì e i luoghi del romanzo sono anche i miei: li conosco, li sento miei e mi è stato naturale trasfigurarli e rielaborarli per renderli lo sfondo ideale di questa storia.

 

  • Se dovesse associare una canzone al suo romanzo quale sceglierebbe?

Sceglierei “Marzo” di Giorgia.

 

 

  • Ha incontrato difficoltà nella stesura di Ventiquattro?

E’ stato facile scrivere tutta la storia, nella sua prima versione: l’ho tenuta talmente tanto dentro di me, prima di scriverla, che quando ho cominciato, è uscita fuori con grande fluidità. La difficoltà vera per me è venuta dopo: nel lavoro di revisione, di controllo e di rilettura degli episodi di modo che ci fosse sempre un certo ritmo ed un determinato senso del tempo.

 

 

  • C’è qualche curiosità che non ha scritto nel romanzo e vuole condividere con i lettori?

Non so se si può definire una curiosità, ma è sicuramente un piccolo aneddoto che farà sorridere: volevo far cantare un ranocchio nel cuore dell’inverno, durante la gita che Andrea fa con Martina ed i suoi figli maschi, nella prima parte del romanzo: e l’avevo anche inserito. Per fortuna una cara amica mi ha ricordato che i ranocchi d’inverno non cantano… e così l’ho tolto.

 

 

  • Cosa significa per lei scrivere?

Significa riuscire a dare voce al mio immaginario ed alle visioni che di tanto in tanto mi catturano. Ed è anche un modo per vivere la vita dei miei personaggi.

 

 

  • Ha qualche consiglio per chi sogna di intraprendere il cammino della scrittura?

Il consiglio, per coloro che aspirano a pubblicare, è quello di impegnarsi, cercare di essere costanti, perché in scrittura la costanza è tutto, e rileggere molto quello che si scrive. Inoltre secondo me, è molto importante ascoltare le opinioni ed i suggerimenti dei lettori e non dimenticare mai di restare umili.

 

 

  • Quali sono i suoi progetti per il futuro?

Mi piacerebbe molto poter pubblicare i miei racconti.

 

 

La ringrazio per il tempo che ci ha dedicato, è stato un vero piacere.

 

 

 

May the Force be with you!
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