Araldi del vuoto: I ramoscelli d’oro di Aleister Crowley

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Il protagonista di oggi ha un volto familiare. Ebbene sì, Aleister Crowley torna a smuovere le acque con la raccolta “I ramoscelli d’oro”, il settimo volume de La biblioteca di Lovecraft.

Pagine: 234

Acquistalo subito: I ramoscelli d’oro

Editore: Edizioni Arcoiris
Collana: La Biblioteca di Lovecraft
Traduzione: Luca Baldoni

Prezzo: € 14,00

“Al suo fianco c’era la donna atroce che lo ispirava, anch’ella vestita da sacerdote, ma con gli indumenti drappeggiati in modo tale da rendere l’abito indecente. Sull’altare brillavano due luci; candele di cera nera, entrambe poste sul lato nord di quello che fungeva da crocifisso: un rospo vivo, inchiodato a una croce scarlatta”.
Cerimoniali pagani, riti magici, leggende e culti antichi riportati in vita da otto parabole simboliste, ora dal tono fiabesco, ora raccapriccianti, sempre sospese “tra humour malizioso e sensualità crudele” (F. Pezzini). “I ramoscelli d’oro”, sentito omaggio del celebre esoterista Aleister Crowley al seminale “Il ramo d’oro” dell’antropologo Sir James George Frazer, è una raccolta di racconti dalle tinte “folk horror”, per la prima volta disponibili in italiano. Traduzione a cura di Luca Baldoni, introduzione di Franco Pezzini, copertina di Michele Carnielli.

Nelle giornate caotiche ritrovare un momento per se stessi diventa difficile, sembra quasi di vivere costantemente in apnea e non riuscire a respirare e tutto questo mentre il mondo va avanti e ci si vorrebbe soltanto fermare. In questo clima pesante ecco arrivare la mia bolla d’ossigeno, Aleister Crowley, un autore che credevo di aver messo a fuoco e che invece ha finito per spiazzarmi. I ramoscelli d’oro sono di tutt’altra fattura rispetto a “I racconti della bestia”. Non fraintendetemi, la sua essenza c’è ma qui sono riuscita a metterlo maggiormente a fuoco tra allegorie dark che nascondono un profondo rispetto verso l’opera massiccia di James George Frazer, “Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione” del 1890 e successivamente ripubblicato nel 1915.

Mi sembra quasi strano definire un autore come Crowley una bolla d’ossigeno eppure è così. Gli otto racconti presenti nel suo “I ramoscelli d’oro” catapultano chi legge in una dimensione completamente diversa, più tribale e mistica, una sorta di raccolta di favole della buonanotte che non bisognerebbe leggere prima di andare a dormire e che come il canto di una sirena sono lì ad attrarre l’ingenuo lettore. Quasi come se fosse una bussola i racconti di Crowley puntano alla sua più grande ispirazione, Frazer, ma non rinunciando al suo essere provocatorio mentre si addentra tra miti, riti cruenti e culti pagani ormai dimenticati. 

È peculiare anche il titolo, come se dinnanzi all’opera mastodontica di Frazer persino Crowley si rimpicciolisca, cerchi di lasciare la sua impronta con i suoi piccoli ramoscelli, che però secondo lui stesso non sono in grado di eguagliare l’originale, infatti prende in prestito cinque epiteti ed alcune frasi perché si denota il suo profondo rispetto per l’antropologo tanto da costruire attorno al suo studio preso in esame una libera interpretazione dei miti e culti raccontati, senza tralasciare la crudezza e aggiungendo quel tocco crowleyano disturbante, che come al solito è in grado di infrangere ogni sorta di tabù. 

copertina di Michele Carnielli

Sotto lo pseudonimo di Mark Wells e James Grahame troviamo tra i racconti più interessanti di Crowley, “Il focolare” e “Il vecchio albero di Pippal”, diametralmente opposti. Il primo crudissimo ci porta all’interno di riti antichi attorno ai quali viene raccontata la tragica storia di Giulia e del suo destino già scritto, lei la sola in grado di tenere acceso il fuoco che alimenta la sua gente finisce per cedere alla tentazione, a voler uscire fuori dal suo ruolo e ritrovarsi per nefasti motivi vittima del desiderio che l’ha spinta a giocare con il fuoco e rimanerne del tutto ustionata. Dall’altra parte abbiamo invece una favola più soave, la storia dei gemelli e il grande albero di Pippal, che si erge vicino a un ruscello, un confidente e amico dei due sfortunati, un albero “magico” capace di realizzare il desiderio di entrambi, ma sarà davvero così? 

Nonostante il suo rispetto per Frazer però in racconti come “La messa di Saint Secaire” la sua essenza viene del tutto fuori, una messa nera celebrata diventa un pretesto per raccontare non solo il lato macabro e agghiacciante, ma anche qualcosa di più, un punto di rottura, che corrode l’anima di chi ha celebrato il culto, mentre ci si ritrova a vivere qualcosa di inspiegabile e che ciò nonostante porta con se delle conseguenze terribili, ma non per tutti.

Dentro la biblioteca di Lovecraft mi sono avventurata tra le pagine di diversi autori che per un motivo o per un altro mi hanno portata ad incuriosirmene, come ad esempio Crowley, che come autore è riuscito a trascendere quel confine che separa il giusto e sbagliato, mettendo in campo la sua vena provocatoria che però spinge chi legge ad interrogarsi su alcune tematiche o fa in modo che siano i suoi stessi personaggi a farlo al posto del lettore. Ne “I ramoscelli d’oro” ho trovato un Crowley con una sfumatura diversa che però non rinuncia alla sua essenza, uno capace di prendere in esame un testo come “Il ramo d’oro” e farlo in qualche modo suo, addentrarsi come un avventuriero tra miti e culti dimenticati prendendo in esame civiltà antiche durante epoche diverse mettendo in qualche modo a confronto pratiche religiose, magiche e miti e analizzandone l’essenza, il pilastro sul quale si regge ogni rito e credenza.

«Poi il velo dell’oscurità si stracciò; fu scosso da una grande illuminazione: doveva trovare rifugio presso Melcarth; Melcarth, che deve morire e poi rinascere».

 

 

 

disclaimer: si ringrazia l’ufficio stampa di Edizioni Arcoiris e Jacopo Corazza per la copia omaggio.

 

 

 

 

 

May the Force be with you!
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