BLOGTOUR: Ti va di ballare? di Jonah Lisa Dyer e Stephen Dyer – Estratti

Benvenuti alla seconda tappa del blogtour dedicata al romanzo “Ti va di ballare?” di Jonah Lisa Dyer e Stephen Dyer, uscito a giugno per Mondadori.

IL ROMANZO

Prezzo: € 19,00

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PRELUDIO
KATE

Dove Megan capisce cos’è un colpo basso

Eravamo in svantaggio di un gol durante il recupero quando Lachelle cominciò a concentrare l’azione a centrocampo, passando la palla a Mariah. Lei la servì a Lindsay, nell’angolo destro, che anticipò la sua marcatrice sulla linea di fondo e fece un cross basso in direzione dell’area di rigore. Cat scattò avanti, attirò l’attenzione della giocatrice che la marcava e quella del portiere, poi con una finta lasciò passare la palla tra le gambe senza toccarla; una mossa che le riuscì benissimo, dato che l’avevamo provata all’infinito. Io mi trovavo a soli sette metri dalla porta, spalancata come una bocca intenta a sbadigliare. Dovevo solo mettere dentro la palla. Ma ero talmente impaziente, mentre in testa mi scorrevano le immagini delle mie azioni migliori, che la colpii fortissimo. La palla schizzò contro la traversa e rimbalzando finì fuori campo. La folla rumoreggiò, e io rimasi lì in piedi, affranta. Avevo appena fallito un gol facile che ci avrebbe consentito di pareggiare la nostra prima partita di campionato. “Complimenti, Megan” pensai. “Complimenti davvero.” Un minuto dopo si udì il fischio. Università dell’Oklahoma 2, Università Metodista del Sud 1. Rovesciai con un calcio il distributore dell’acqua fredda e mi stavo dirigendo a bordo campo quando comparve l’allenatrice Nash.

Mi chiesi se le cose sarebbero potute andare peggio di così. Non dovetti aspettare molto.

«Ehi.»

Alzai lo sguardo verso mia sorella Julia. Era più alta e più carina di me: capelli biondi, incredibili occhi azzurri, pelle vellu-tata e senza difetti. In pochi avrebbero indovinato che eravamo gemelle, chiaramente nate da due ovuli e non da uno.

«Eri alla partita?»

Lei annuì, ma rimase a una certa distanza. «Odio infierire, però ho pensato che avresti voluto vedere questo.» Mi consegnò il suo cellulare con il browser aperto sul “Dallas Morning News”. Il Bluebonnet Club annuncia i nomi delle debuttanti dell’anno 2016, recitava il titolo. Scorsi l’articolo. Bla bla bla… “Ashley Harriet Abernathy, Lauren Eloise Battle, Ashley Diann Kohlberg, Margaret Abigail Lucas, Julia Scott McKnight, Megan Lucille McKnight, Sydney Jane Pennybacker…”

Oddio! Era peggio di quanto pensassi. Cercai di arginare il magma di rabbia che mi ribolliva dentro, pronto a esplodere come un vulcano. «Mamma, se credi che io molli il calcio per il valzer e il tè, non solo ti sbagli di grosso, ma sei completamente pazza».

«Immagino quello che provi…»

«No, non credo» sbottai.

«Ti chiedo di sacrificare una stagione su quante? Venti?»

«Mi stai chiedendo di rinunciare a giocare per un anno dei quattro di college e alla possibilità di entrare nella squadra nazionale.»

Il suo sguardo di compassione fu eloquente, eppure colpì senza pietà. «Tesoro, hai vent’anni. Credo che quel treno sia passato, ormai.»

E la mia non è falsa modestia. Indossavo sempre Wrangler sbiaditi, vecchie magliette e stivali, o in alternativa pantaloncini larghi di nylon e infradito.

Compravo reggiseni sportivi e slip di cotone in confezione risparmio. Avevo le lentiggini e un’abbronzatura da contadina, e i miei capelli, banalmente castani, erano sempre legati in una coda di cavallo, eccetto durante gli allenamenti e le partite, quando aggiungevo una fascia in stile Alex Morgan ricavata da un cerotto sportivo rosa.

Avevo le labbra costantemente screpolate, dato che vivevo in uno stato di perenne semidisidratazione, e le unghie rovinate e sporche.

Le mie gambe muscolose erano una zona di guerra, e per il resto avevo un fisico secco come carne di pollo stufata a causa delle migliaia di ore passate a correre sotto il sole del Texas.

La domanda rimase sospesa tra noi, poi la mamma inclinò la testa reggendosela con una mano, come se le facesse male. Il papà si avvicinò e le sfiorò un braccio. «Tutto bene?» le chiese. Mia madre doveva avere una delle sue emicranie, che sembravano colpirla sempre nel momento più opportuno.

«Sì» rispose, ma gli permise di condurla lentamente verso la sedia. Vi si lasciò cadere e sbirciò il sole radioso attraverso le tende, come un vampiro davanti all’alba.

Ero furiosa. Sentii arrivare le lacrime mentre la mia rabbia di-ventava sempre più cocente, però non sapevo cosa dire. «Io… ti odio» mi scappò alla fine. Si trattava di una frase incredibilmente stupida.Senza vacillare, mi girai e uscii con passo pesante.

Siamo giunti alla fine.
Non vi resta che procurarvi una copia di “Ti va di ballare?”
Vi lascio il calendario con le prossime tappe del blogtour!
Non lasciatevene scappare neanche una!

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