Let’s talk about: Teresa Filangieri. Una duchessa contro un mondo di uomini di Carla Marcone

Instagram: @brivididicarta

Scarni e pallidi, figli di una città sempre affamata, dai mille volti, inenarrabile ed evanescente per le sue mille storie, per le sue mille leggende, ingovernabile e fiera, dove l’unico segno di potere è la libertà e l’unico sovrano san Gennaro, dove vivere è una ricompensa e morire spesso un privilegio, dove la gente è artefice e strumento, attore e spettatore di uno spettacolo che non finirà mai.

Pagine: 160

Acquistalo subito: Teresa Filangieri

Editore: Scrittura & Scritture
Collana: Voci
Data di uscita: 26 Ottobre 2017
Prezzo: € 13,60
Pagine: 160
ISBN: 
9788889682999

All’indomani dell’Unità d’Italia, in una Napoli preda della miseria, dove i bambini poveri sono abbandonati al proprio destino e le orfane spesso diventano spose raccattate, puttane o suore senza vocazione, una duchessa attraversa i vicoli lerci, bussa alle porte dei bassi, interroga la gente, il popolo, per capire, per aiutare e non per sedurre con promesse irrealizzabili.
In questa Napoli lazzara di Michele ’o Belzebù, dove l’azzurro degli occhi di Raffaele si sporca col nero della superstizione della schiena ingobbita del buon Alfonso, Teresa Filangieri concepisce un progetto ambizioso: far costruire il primo ospedale pediatrico per malattie infettive. Per riuscirci deve scontrarsi con il mondo degli uomini, quegli stessi, padri e mariti, a cui le donne ancora appartengono di diritto. Sfida le convenzioni, sottomette l’orgoglio, raccoglie dalla strada gli scugnizzi, ferite purulente che bisogna cominciare a disinfettare.
Carla Marcone mette in scena una Napoli in cui la storia viaggia per conto proprio, separata nei tempi e nei modi dal resto d’Italia, dove vivere è una ricompensa e morire spesso è un privilegio, e ridona luce a una donna dai natali illustri, animata dalla passione civile, dall’amore verso i più deboli, ma troppo in fretta dimenticata dalla Storia.
Source: Wikipedia

Chi era realmente Teresa Filangieri?

Questa è la domanda da porsi prima di apprezzare la bellissima storia creata da Carla Marcone, che ha saputo rendere onore alla figura di questa grandiosa donna, donandole un anima e cosa più importante, mostrandola per quello che era una “guerriera” che ha incanalato il suo dolore, facendolo diventare il suo punto di forza per fare del bene, aiutando la sua amata città e i suoi abitanti.

Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri è la figlia del generale Carlo Filangieri e nipote del celebre filosofo Gaetano Filangieri, nata a Napoli, il 5 gennaio del 1826.

Da quello che ho avuto modo di leggere online, è sempre stata una donna impegnata nel sociale, ha infatti organizzato numerosi spettacoli teatrali devolvendone il ricavato in beneficenza. Nel 1880 fonda l’ospedale, il Santobono, intitolato alla figlia Lina, morta a soli dodici anni. Il suo intento era quello di poter curare il maggior numero di malattie infantili possibili per preservare le generazioni affinchè avessero un futuro.

La filantropa napoletana è una figura affascinante, che francamente non conoscevo, ma dopo aver letto il romanzo della Marcone, mi ha incuriosita. A mio parere merita un capitolo nel romanzo delle “Storie della buonanotte per bambine ribelli”, essendo ella una di quelle donne straordinarie che vanno ricordate oggi e per sempre.

Capì che doveva crescere, e che non poteva permettersi di essere superficiale, che doveva imparare a nascondere l’orgoglio, la rabbia e qualunque altro sentimento che non fosse appropriato. Teresa capì che doveva sopportare e tacere. I suoi tredici anni piansero nello specchio, straripando in un mare senza scelte, senza libertà, senza sostegno nelle consuetudini, nelle leggi, nei costumi, leggittimati dal potere dei padri, poi dei mariti, delle stesse donne abituate al secolare giogo.”

Credit: Gustave Jean Jacquet

Oggi parliamo di “Teresa Filangieri. Una duchessa contro un mondo di uomini” di Carla Marcone, pubblicato da Scrittura & Scritture nella loro collana Voci.

C’era una volta una donna spezzata dal dolore, una donna che nonostante la sua grave perdita riuscì a rialzarsi e dedicare la sua vita agli altri. Il suo nome era Teresa Filangieri e se questo nome non vi dice nulla, è probabilmente perché è stata messa da parte dalla storia, cadendo così nel baratro del dimenticatoio ed “impedendo” alle generazioni, compresa la mia, e quelle future, di apprendere le gesta di questa nobildonna, fare della sua forza e bontà d’animo la nostra fonte d’ispirazione e soprattutto ricordare a noi stessi che la storia non è fatta soltanto da conquistatori bensì da persone che nel loro “piccolo” riescono a mettere da parte l’egoismo, dedicandosi agli altri.

Essere una donna nell’Ottocento significava non avere voce in capitolo su niente, ma ubbidire in silenzio ed eseguire gli ordini. Teresa questo lo aveva imparato sulla propria pelle. A pensare con la propria testa si rischiava soltanto di finire nei guai, ciò nonostante questo non l’ha mai fermata dal navigare controcorrente, scegliendo di mantenere integri i suoi principi e le sue idee, aggrappandosi ad essi per poter sopravvivere. Alla fine non si trattava che di questo, di sopravvivenza per una donna.

Nascere in una famiglia nobile l’aveva resa schiava della propria società, dov’era più importante l’apparenza e il rango, piuttosto che i problemi della vita vera, quelli che dividevano la Napoli del suo tempo mettendo da una parte i ricchi e dall’altra i poveri. Bastava aprire gli occhi per rendersi conto che c’erano persone che soffrivano, divorati dalla fame e in continua lotta per la sopravvivenza. In questo scenario straziante a soffrire maggiormente erano i bambini, che dovevano crescere in fretta ed imparare a badare a sé stessi.

A nessuno sembrava importare ciò che accadeva fuori, ma Teresa aveva sempre guardato il mondo con occhi diversi, prestando particolare attenzione a ogni cosa e lasciando da parte il superfluo. Dietro la facciata da brava nobildonna, si nascondeva una donna perspicace.

E imparò a parlare poco, non per ripicca, nè per indifferenza, nè per l’insorgere di quella timidezza pudica che spesso accompagna l’adolescenza, ma per una sorta di preoccupata rabbia interiore, simile a un boccone che le mordeva lo stomaco e che non riusciva a mandare giù, nè a vomitare.
Credit: Gustave Jean Jacquet

Carla Marcone ci mostra la vera essenza di Teresa, che nonostante tutto, è riuscita a portare avanti la propria rivoluzione, affrontando il dolore della sua perdita. Questo lo si sente sottopelle quando l’autrice descrive la sua sofferenza per la scomparsa di Lina. La scintilla che animava lo sguardo di Teresa si spegne e ogni colore, sapore e odore della sua Napoli scompare dietro il dolore.

Il vuoto che prova una madre che ha perso sua figlia è incolmabile, la filantropa infatti smarrisce sé stessa, spegnendosi poco a poco. Ma una volta elaborato il lutto, una volta realizzato che lasciarsi vivere non porterà ad altro che sofferenza, comincia a risorgere poco a poco dalle ceneri.

“Il Piccolo”, un giornale per il quale spesso era invitata a scrivere, diventa la sua voce, il grido di una donna stanca di vedere la sua città cadere a picco e le vite che ogni giorno continuavano a spegnersi sotto gli occhi dell’indifferente e superficiale borghesia.

Come vedete la guerriera si è forgiata dal dolore, caricandosi giorno dopo giorno dal ricordo della sua amata Lina e la determinazione nel cambiare musica.

Non era l’amore di Lina e per Lina, ma era amore. Comunque amore. Durava poco però, troppo poco, e in un attimo il supplizio ricominciava a crocifiggerle, a scarnificarle il cuore.
Credit: Thomas Benjamin Kennington

Il colera mieteva vittime in continuazione, i corpi cadevano uno alla volta, come un domino grottesco, dove non restava che assistere alla disfatta di una città, ma ciò nonostante, anche quando la sua vita era in pericolo, Teresa continuava solamente a pensare al benessere dei meno agiati.

Sapete, spesso mi capita di voler a tutti i costi fare qualcosa ma non riuscirci, è come avere problema e vaghi ingredienti e non sapere che ricetta creare o che soluzione adottare, questo era lo stato d’animo della filantropa campana, che bloccata in un vicolo cieco non aveva mai comunque perso la speranza.

La sua determinazione è lodevole e non si è mai affievolita, anche quando si trovava in difficoltà. E da queste situazioni dopotutto che capiamo di che pasta siamo fatti, no? Di qualunque pasta fosse fatta Teresa era chiaro che fosse destinata a grandi cose.

Carla Marcone ci regala un ritratto di Teresa verosimile e accurato, infatti sembra quasi che l’abbia conosciuta di persona. Ammiro il fatto che abbia scelto di dare spessore a una figura nascosta nell’ombra, probabilmente ricordata soltanto dai napoletani e che dovrebbe invece diventare universale, in modo che anche le nuove generazioni che si stanno formando imparino a trarre spunto dalla vita di una donna che non si è mai arresa di fronte a nulla.

Sullo stile dell’autrice non si discute, è elaborato e ricercato, accentuato dall’uso del dialetto napoletano accompagnato da note a piè di pagina, che facilitano la comprensione, anche se la maggior parte dei termini si riescono comunque a capire.

Mi piace immaginare Teresa Filangieri come una guerriera. Ci vuole coraggio per andare contro tutti e tutto pur di fare del bene a chi ne ha bisogno. Grandi donne devono essere d’ispirazione per tutte noi. Niente è impossibile quando si è mossi da nobiltà d’animo.

May the Force be with you!
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