Let’s talk about: Le sere di Gerard Reve (Iperborea)

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Il protagonista di oggi è un romanzo che vi ho già mostrato su Instagram, si tratta de “Le sere” di Gerard Reve, pubblicato da Iperborea con la traduzione di Fulvio Ferrari.

Pagine: 318

Acquistalo subito: Le sere

Editore: Iperborea
Collana: Narrativa
Traduzione: Fulvio Ferrari
Genere: Narrativa

Data di uscita: 27 Giugno
Prezzo: € 18,00

È il 1947 quando il ventitreenne Gerard Reve pubblica il romanzo che sconcerta, cattura e divide l’Olanda postbellica, annoverato oggi tra i grandi classici di questo paese e tra i capolavori della letteratura europea. Per gli ultimi dieci giorni del dicembre 1946 seguiamo la vita di Frits van Egters, un giovane che ha lasciato gli studi per un monotono lavoro impiegatizio e che trascorre il tempo libero peregrinando per le strade di Amsterdam, raccontando storielle di sagace humour macabro e osservando se stesso e gli altri alla luce violenta della sua ironia critica. La sua esistenza è un tour de force per riempire la vacuità quotidiana, per dare un senso alle sere che seguono a giornate “inutili”, trasformando la routine in una dirompente commedia nera. Come una biglia Frits si muove tra il piccolo appartamento che divide con i genitori – di cui registra con sguardo clinico ogni goffaggine, ottusità e dettaglio di decadenza fisica – e le case di amici che sottopone a sfrontate provocazioni, in un gioco psicologico efferato e ricco di immaginazione, quasi un’estrema rivalsa dello spirito contro ogni rassegnato perbenismo, della parola contro lo scorrere del tempo che tiene l’uomo sotto scacco. Con un incalzante collage di dialoghi arguti e riflessioni spiazzanti, muovendosi tra l’assurdo di Kafka e il rovello ossessivo di Hamsun, l’esistenzialismo di Camus e l’ilarità ribelle di Salinger, Reve ci trascina nel mondo interiore di un personaggio tanto feroce quanto irresistibile in tutta la sua selvatichezza umana, nel suo cinismo irrisolto e in perenne ricerca di una risposta all’assurdità del vivere, figlio di un’Europa annichilita dalla guerra ma soprattutto fratello di ogni giovane che in ogni epoca si ritrova ad affrontare la crudezza del mondo.
“Era ancora buio quando, la mattina presto del 22 dicembre 1946, nella nostra città, al primo piano della casa di Schilderskade 66, l’eroe di questa storia, Frits van Egters, si svegliò.”

Posso affermare senza ombra di dubbio che agosto è stato un mese interessante, ricco di letture intriganti che mi hanno catturata sin dalle prime pagine. Non posso dunque lamentarmi se mi ritrovo con una lista nuova di romanzi da recuperare che includono alcuni autori che ho avuto il piacere di scoprire questo mese.

Source: Pinterest

Oggi vorrei parlarvi di una delle mie ultime letture, un romanzo che mi ha risucchiata grazie allo stile dell’autore, un giovane Gerard Reve che a soli ventitré anni è riuscito a creare un’opera travolgente.

Pubblicato per la prima volta nel 1947 questo gioiellino è un pilastro della letteratura olandese e vincitore del premio Reina Prinsen Geerligsprijs, considerato da alcuni come un’opera priva di umanità, totalmente negativa e per questo anche opprimente.

Reve ci regala uno scorcio della vita di un insolito protagonista, Frits van Egters, un ragazzo di ventitré anni che ha messo da parte gli studi per dedicarsi ad altro. Quello che vediamo non sono altro che dieci giorni della vita di questo personaggio, una persona che non ha scopo e non ha intenzione di trovarne uno. Sebbene non sia una persona del tutto comune, Frits passa le sue giornate a costruire le sue storie, le stesse che racconta in giro per tenere occupata la mente da pensieri e sogni inquieti.

«Sono vivo», sussurrò, «respiro. E mi muovo. Respiro, mi muovo e dunque sono vivo. Cos’altro può accadere? Possono arrivare disgrazie, sofferenze, orrori, ma sono vivo. Possono rinchiudermi, posso essere tormentato da terribili malattie. Ma continuo a respirare, e mi muovo. E sono vivo.»

Dieci giornate che non hanno nulla di speciale, che si susseguono una dopo l’altra nella più banale quotidianità ed è questo che sconcerta il lettore, il fatto che la normalità possa trasformarsi in qualcosa di agghiacciante e claustrofobico.

Source: Pinterest

Probabilmente ciò che dà i brividi è il fatto che Frits nella sua noia quotidiana riesce a trasformare in oggetti interessanti anche cose che a tutti gli altri sembrerebbero estremamente noiose, come ad esempio i suoi genitori, che si diverte ad analizzare in ogni minimo particolare, archiviando nella sua mente ogni loro gesto, ogni parola e forma di comportamento.

Il suo cinismo lo rende affascinante agli occhi degli altri, ma sotto la sua maschera si nasconde una persona che passa il tempo a torturarsi da sola, prigioniero delle sue stesse riflessioni, che spaziano dallo scorrere del tempo, alla vecchiaia e ai mutamenti del comportamento umano. Questa sua ossessione è il fulcro della sua vita, il pilastro attorno al quale costruisce il castello delle sue convinzioni, popolandolo di storie e di paure, senza rendersi conto che in realtà è lui a sostenere le fondamenta di queste fobie.

Personalmente trovo che leggere Reve oggi sia come guardare al futuro tuffandosi nel passato, cadendo all’indietro ad occhi chiusi, senza curarsi del fatto che dietro le spalle abbiamo l’acqua o il cemento, ma con l’assoluta certezza che qualunque sia il risultato di questa lettura essa ci sconvolgerà.

Frits è una persona che non ha paura di ciò che lo circonda, ma anche di ciò che non vede, come il futuro, che sembra incerto e cupo, senza una luce in fondo al tunnel e a soli ventitré anni vive la vita come se non volesse andare avanti, cercando di inchiodare i suoi piedi nel presente, senza curarsi del fatto che un giorno si renderà conto di essersi ancorato al passato.

L’ossessione del tempo che scorre, quello che spera di controllare, di fermare in qualche modo, è la stessa che lo porta ad alterare la sua percezione del tempo, facendogli notare quanto in fretta un uomo diventa calvo o un bambino muoia, o perché no a quanto crescono in fretta i capelli.

Source: Pinterest

Nella testa di qualcuno come Frits ogni giorno sembra uguale al precedente, viene scandito solo dai cambiamenti che vede negli altri, percependo sé stesso come immutabile, senza notare che, come gli altri, anche lui cambia e si trasforma in quello che osserva.

È ironico il fatto che guardando qualcosa ogni giorno non si riesca a percepire il minimo cambiamento, ma distogliendo lo sguardo per appena due giorni possiamo vedere qualcosa di diverso negli occhi di chi abbiamo di fronte, realizzando solo in quel momento quanto in fretta scorra il tempo, di quanto esso sia indifferente nei confronti di noi piccoli esseri umani.

In tutte le epoche il genere umano ha sempre cercato di imbrigliare il tempo, di cercare di creare un’estensione alla propria esistenza inventando l’aldilà: l’inferno, il paradiso, il valhalla e i campi Elisi, tutti modi che l’uomo ha escogitato per sfuggire alla tremenda realtà che il tempo su questa terra è limitato e che una volta vissuta la vita non torna indietro.

Frits questo lo sa bene e il suo modo per evadere dal pensiero che il suo tempo si sta consumando lentamente, racconta le sue storie, chiacchiera con gli amici e cerca in tutti i modi di tramandare il suo passaggio sulla terra per lasciare un segno di sé, per creare a suo modo il suo personale regno dei morti.

Il protagonista ha paura che dopo la morte non ci sia nient’altro, che una volta finito il tempo a sua disposizione non resteranno che le sue ossa e forse un po’ di polvere e questo viene sottolineato dal fatto che la decadenza viene esaltata in tutta la sua brutalità, costringendo Frits a raccontare qualcosa di sé per evadere dalla sua vita, dalla monotonia delle giornate tutte uguali che si susseguono.

Le sere passano lente e monotone come se stessimo a guardare un orologio, fissando la sua lancetta dei secondi scatto dopo scatto, un giro dopo l’altro per realizzare che una volta finito si ricomincia daccapo.

«Quando facevo le elementari», pensò, «il cielo a volte si scuriva a tal punto che il sabato mattina, un’ora prima che suonasse la campanella […]. Sabato, un’ora prima della fine. Perchè era così bello?» «Oppure l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze», pensà ancora, «quando arrivava un acquazzone, o un temporale, subito prima della campanella. Non c’era gioia più grande. Perchè? Strano.»

 

 

 

disclaimer: si ringrazia l’ufficio stampa di Iperborea per la copia omaggio.

 

May the Force be with you!
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