La settimana si apre con il romanzo di Connie Palmen, “Tu l’hai detto“, pubblicato da Iperborea con la traduzione di Claudia Cozzi e Claudia Di Palermo.
Acquistalo subito: Tu l’hai detto
Editore: Iperborea
Collana: Narrativa
Traduzione: Claudia Cozzi, Claudia Di Palermo
Genere: Narrativa
Data di uscita: 11 Aprile
Prezzo: € 17,00
“E a volte dobbiamo imparare a leggere i nostri miti per poterci sottrarre prontamente alla gabbia narrativa di una vecchia sceneggiatura, al destino già scritto cui il personaggio sembra piegarsi senza opporre resistenza.”
Questa volta non sapevo cosa leggere, non sapevo dove sbattere la testa, il caldo che ritorna, tante scelte nella mia libreria e poca voglia di prendere una decisione, così ha scelto il fato per me.
Per fortuna ha scelto bene! Quando ho poggiato il dito sul libro, ho aperto gli occhi ed era lì, “Tu l’hai detto” di Connie Palmen.
Questo romanzo ci riporta la vita difficile dell’irresistibile enfant prodige, Sylvia Plath, morta suicida a trent’anni, poetessa e scrittrice dall’animo sofferto.
Connie Palmen sceglie di dare voce all’uomo dietro questa figura di enorme spessore per raccontare la loro vita insieme, quasi come se volesse redimere Ted Hughes e allontanarlo per un momento dal giudizio popolare, spogliarlo dalla figura di carnefice e mostrare a tutti noi lettori che sotto lo strato di pelle si nasconde un essere umano, un uomo che ha amato una donna in maniera intensa, intrappolato in una spirale distruttiva che ha portato entrambi a una fine dolorosa.
Quello che ci descrive l’autrice è un quadro intimo della vita di questi due protagonisti, una tormentata dai suoi demoni e l’altro assente infedele, tutte le sue amanti di una notte e nulla più nelle ultime pagine del diario di Sylvia Plath prendono vita sotto forma di orribili furie alate che si aggiungono agli altri i suoi tormenti.
“Chi inizia così un amore sa che vi si cela un cuore di violenza e distruzione. Finché non sopraggiunge la morte. Uno di noi era spacciato fin dall’inizio. Era o lei o io. Nella furia divoratrice chiamata amore, avevo trovato la mia pari.”
Sylvia Plath è una donna complicata, come un diamante grezzo pieno di sfaccettature asimmetriche, che ragiona in maniera differente da tutti gli altri. Avendo vissuto una vita piena di incubi per lei la morte forse è stata una via per trovare la vera vita, o almeno così pensava quando la sfiorava.
È il superare il limite che colorava la vita, all’improvviso tutto passava da un pallido bianco e nero al technicolor, mostrando le brutture della vita come scintillanti raggi di sole, uno spettacolo che pensava che solo la morte le avrebbe potuto donare.
Persino il suo matrimonio somigliava a quella sensazione, un continuo camminare sul filo del rasoio, incerta se lasciarsi cadere o se farsi tagliare le piante dei piedi continuando a soffrire. Alle sue sventure, come ho già detto, si aggiungevano anche le amanti del marito, nuovi spettri che spegnevano la luce alla fine del tunnel, lasciandola in una sorta di limbo dove neanche avvicinarsi al pericolo produceva una qualche scintilla in grado di riportarla, per così dire, indietro.
Sylvia e Ted sono due facce di una medaglia scheggiata che Connie Palmen non ha paura di mostrare con tutte le crepe: un animo frammentato e il declino della vita dell’altro una volta che lei è morta. Due anime si sono sfiorate e sbranate a vicenda, hanno scruttato dentro l’abisso, ma ciò che uno dei due ha visto l’ha trascinato fino in fondo al baratro e così quando l’abisso ha guardato dentro di loro, ha visto l’inevitabile, una ferita che Ted mostra in un vedo e non vedo continuo del quale il lettore è testimone tra le righe in questa travagliata storia d’amore.
Questa volta non si tratta quindi di puntare il dito, no, ma di mostrare quanto fosse fragile e precaria la loro storia d’amore, qualcosa che non produce nessuna certezza ma che quando la si vive in prima persona non permette di rendersi conto con chiarezza quanto male stia facendo.
È come dicono, l’amore offusca i sensi, per questi due protagonisti si è trattato di incontrarsi, innamorarsi e divorarsi a vicenda, un po’ come due animali che cercano di sopravvivere, entrambi hanno avuto i loro alti e bassi, momenti felici alternati ad attimi di immensa tristezza.
Anche l’ambiente di cui facevano parte i protagonisti non era adatto ad aiutare una persona nelle condizioni della poetessa, infatti l’ambiente intellettuale ed accademico dell’epoca era pieno di maldicenze, mormorii e tutti non aspettavano altro che un pettegolezzo di “corte” per dare un pizzico di pepe alle loro vite appiattite dal peso della conoscenza.
Quello che emerge da questa biografia coniugale è un quadro dal quale prendono vita i terribili incubi di una donna che non è riuscita a combattere la sua depressione, ciò nonostante vista con gli occhi di suo marito Sylvia appare come l’incarnazione del suo amore e dolore, un amore forte ed intenso, travagliato, ma soprattutto esile.
Tu l’hai detto è una confessione intima di due persone che si sono perse a vicenda, travolte da un amore intenso come una valanga e distruttivo come l’apocalisse.
“Chi vuole creare deve morire decine di volte nella vita. Deve separarsi, svincolarsi dai suoi cari, da terra, paese, famiglia, amici e soprattutto dalle idee nelle quali si è barricato. Non esiste rinascita senza prima la morte.”
disclaimer: si ringrazia l’ufficio stampa di Iperborea per la copia omaggio.