The Whispering Room: Vita d’uomini morti di Giulio Risi

Ricordati che qualsiasi momento è buono per cominciare. Apprendi dagli audaci, dai forti, da chi non accetta compromessi, da chi vivrà malgrado tutto. Alzati e guarda il sole nelle mattine e respira la luce dell’alba. Tu sei la parte della forza della tua vita. Adesso svegliati, combatti, cammina, deciditi e trionferai nella vita; Non pensare mai al destino, perché il destino è il pretesto dei falliti.
(Pablo Neruda)

 

Cari lettori, eccoci con una nuova uscita della nostra rubrica The Whispering Room, protagonista di oggi è Vita d’uomini morti di Giulio Risi.

La casa editrice ci anticipa che Vita d’uomini morti è un romanzo che si addentra nella parte più remota della mente umana per narrare una deriva esistenziale: a volte credere l’incredibile è l’unico modo per continuare a vivere. Interessante, vero?

Non perdetevi l’intervista con l’autore!

 

Editore: Eretica Edizioni
Data di uscita: 2022
Pagine: 176
Prezzo: 17.00 €

Book trailer: https://www.youtube.com/watch?v=2phHTJEaU14

 

Vita d’uomini morti è un romanzo che si addentra nella parte più remota della mente umana per narrare una deriva esistenziale: a volte credere l’incredibile è l’unico modo per continuare a vivere. “Un romanzo da cui promana un fascino indiscutibile, che induce a leggerlo tutto di un fiato. L’autore alterna registri linguistici in modo sapiente passando da espressioni gergali a raffinate esposizioni auliche.” Premio Calvino

 

#Bottaerisposta

 

 

  • Come è nata l’idea di Vita d’uomini morti?

Ho cominciato a scrivere Vita d’uomini morti anni fa, poco dopo essermi trasferito nel quartiere romano di Monteverde; lì ho delineato tutti i personaggi, molti ispirati a persone reali, alcune arcinote in zona. Poi è venuta l’ossatura del romanzo, il reticolo di nevrosi in cui il protagonista s’inabissa e il motivo per cui ciò accade. L’idea che mi girava in testa era il soma/sema platonico, poi ho inconsciamente spostato l’attenzione sull’homo homini lupus hobbesiano; scontata l’inclinazione patologica dell’uomo per la caccia all’uomo, l’homo homini lupus che ho letto nella mia storia è un uomo che non diventa lupo per gli altri, lo diventa per se stesso. Il fulcro del romanzo è tutto qui.

 

 

  • C’è un episodio che le si è delineato prima degli altri?

Partivo da un testo che avevo scritto per un spettacolo che si è poi tenuto al Teatro Valle, a Roma. A quell’idea seminale sono seguiti non episodi, ma personaggi. Il primo è stato quello del boss malato d’Alzheimer che dimentica i delitti commessi. È forse l’unica figura totalmente immaginaria del romanzo; in realtà nel quartiere c’era (credo ci sia ancora) un vecchio signore dal piglio violento, spesso lo si sentiva cantare a squarciagola vecchi stornelli romani mentre passeggiava a Villa Pamphili col suo badante. Io l’ho immaginato essere un boss scampato a diversi attentati, un uomo che canta perché felice d’essere arrivato alla vecchiaia senza che nessuno sia riuscito a farlo fuori. Da lì si è sviluppata la sua storia. La circostanza dell’Alzheimer mi è servita a inverare un paradosso: un  uomo violento costretto alla mansuetudine, un boss piegato suo malgrado all’innocenza, rotto a una fragilità eliogabalica, una persona apparentemente invincibile che finisce per esser vinta da se stessa. Sia la storia sia i personaggi di Vita d’uomini morti sono stati modellati seguendo quest’idea della contrapposizione, in alcuni è evidente sin da subito, in altri ciò  è svelato nel corso della storia. Infine c’è il capovolgimento più massiccio e inaspettato, quello che riguarda il motivo del coacervo d’ossessioni che affligge protagonista, il perché della sua caduta in un labirinto di paure.

 

 

  • Ci parli dei suoi personaggi.

Si tratta di un romanzo corale che presenta diversi colpi di scena. Si parte inquadrando la vita del protagonista (Bruno Sanna, uno psicanalista cupo e solitario), poi lentamente la narrazione si sposta su storie parallele che s’intrecciano a quella del personaggio principale e confluiscono in un finale capovolto. Tutti i personaggi di Vita d’uomini vivono nel quartiere di Monteverde. Nelle strade che appartennero a Bertolucci, Caproni e Pasolini ora percola un’umanità dolente, sullo sfondo s’intravedono ombre di donne costrette a vivere in un retromondo che quasi rasenta il sadismo (le “donne orfane di vita” a cui ho dedicato il romanzo). A sgravare l’aleggiare malinconico della storia c’è l’ironia della voce narrante e la comicità involontaria di alcune figure secondarie. Quanto ai personaggi, oltre al boss malato d’Alzheimer (violenza/fragilità) menzionato, c’è un parroco visionario che si stravede imàm (cristianesimo/islam), un maniaco che sgozza i gatti del circondario, la masnada che si riunisce al bar Mascagni, un fascista figlio di partigiani (paradosso), un borgataro colto (altro personaggio paradossale) che dispensa sproloqui filosofici agli avventori avvinazzati del bar. Come vede, l’idea per la creazione dei personaggi è stata un sentiero lastricato da un leitmotiv (il titolo stesso del libro è un ossimoro). Ciò si nota anche nel linguaggio adoperato: è un continuo capovolgersi di registri, dalla voce aulica del narratore (una voce a tratti extradiegetica) a quella turpe di alcuni personaggi. C’è poi la figura di un pianista jazz che richiama la vicenda di un noto pianista degli anni ottanta morto suicida, un escamotage che mi ha consentito di tornare al mio background di pianista e compositore per trattare di musica e musicisti. È un romanzo un po’ anomalo ma credo sia interessante per questo, una storia a cavallo fra il mainstream e il thriller psicologico.

 

 

  • Come descriverebbe il suo romanzo con tre aggettivi?

Non lo descriverei, se lo facessi ne darei una mia visione e ciò coarterebbe quella di chi lo leggerà. Descrivere un libro è un po’ come descrivere un amore: più si scende nei dettagli, più lo s’impoverisce.

 

 

  • Se dovesse associare una canzone al suo romanzo quale sceglierebbe?

4’ 33’’, di John Cage. In lontananza si sente forse l’eco della voce malinconica di Celentano che canta “L’Arcobaleno”.

 

 

  • Ha incontrato difficoltà nella stesura della storia?

La stesura della storia mi ha consentito di non pensare alle difficoltà che s’affastellavano nella mia vita, le ore passate a scrivere sono state ore d’aria in una prigione con le porte aperte; un mantra. La mente umana può concentrarsi su una sola cosa alla volta, e se ti concentri su un mantra sei costretto a non pensare ad altro. Nessuna difficoltà nella stesura, semmai un sollievo, mettere su carta le voci di dentro, i volti che si materializzano,  ti aiuta a liberartene.

 

 

  • Quali sono i suoi progetti per il futuro?

Termino la stesura del mio secondo romanzo e ho ripreso a lavorare a un album cantautorale titolato “Nemesi di un araba fenice”. Sto inoltre scrivendo alcuni brani che dovrebbero esser parte del prossimo disco di un artista pop abbastanza noto ma è cosa in fieri ed è prematuro parlarne.

Il mio prossimo lavoro strumentale invece è quasi pronto e ne parlo volentieri, si tratta di  un album acustico, una serie di composizioni neo-classiche per pianoforte e archi che a tratti ammiccano al jazz, un progetto – spero – originale. Del conseguente tour di piano solo si avrà un assaggio nel corso delle presentazioni del romanzo: alcune saranno precedute da un mini – concerto.

 

 

#Conosciamol’autore

Giulio Risi è pianista e compositore. Ha lavorato a lungo a Londra occupandosi di musica rock, jazz, pop e classica ottenendo numerose recensioni elogiative da parte della stampa europea. È stato membro della rock band inglese Jadis (già prodotta dai Marillion). I brani pilota del suo EP Nemesi di un’araba fenice (in produzione) sono stati presentati al Premio Augusto Daolio (Premio per il miglior testo) e a Musica Controcorrente (Miglior artista votato dal web). Vita d’uomini morti è il suo primo romanzo.

 

 

 

 

 

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