Tea Time: A casa di Judith Hermann (Fazi Editore)

Instagram: @brivididicarta | @lastambergadinchiostro

Oggi mi tiene compagnia una tazza di té caldo mentre vi racconto di Judith Hermann e il suo “A casa”, uscito da poco in libreria per Fazi Editore con la traduzione di Teresa Ciuffoletti.

Data di uscita: 16 Gennaio

Acquistalo subito: A casa

Editore: Fazi Editore
Collana: Le strade
Traduzione: Teresa Ciuffoletti
Genere: Narrativa
Pagine: 156
Prezzo: € 9,99 (E-book) |€ 16,90 (cartaceo) 

La protagonista di questa storia è una donna di cui non scopriremo mai il nome. Sappiamo però che ha appena chiuso un capitolo della sua vita per cominciarne uno nuovo: dopo che la figlia è andata via di casa, ha deciso di lasciare il marito, un accumulatore compulsivo sempre preparato al peggio, ma anche un confidente, con il quale continua a intrattenere una regolare corrispondenza. Priva di rapporti significativi al di fuori del nucleo familiare ormai sfaldato, la donna si trasferisce al mare, in una casa tutta sua; poco lontano si trova il paesino dove inizia a lavorare nel pub del fratello, un sessantenne fanfarone e sfaccendato. Mentre l’ex marito e la figlia giramondo continuano a occupare i suoi pensieri, con cautela la donna cerca di ambientarsi in un paesaggio umanamente e climaticamente duro: stringe amicizia con una sua coetanea originaria del posto, tenta una goffa relazione amorosa, rimesta tra i ricordi della sua vita passata e, immersa in una solitudine scelta ma non priva di inquietudini, si domanda che ne sarà di quella futura.

Un tè speziato e pungente allo zenzero ustionante è quello che ci vuole per affrontare un tempo anomalo come questo, a volte po’ caldo e altre terribilmente freddo. Devo ammettere che questo mix di temperature mi sta provando a livello fisico, ma non voglio pensare al tempo che avanza, parliamo piuttosto di letture. 

Il protagonista di oggi è il romanzo di Judith Hermann, “Daheim”, termine che significa proprio casa e il titolo in italiano è stato tradotto letteralmente con “A casa” perché, in fin dei conti, leggendo viene da domandarsi quali sono le caratteristiche che definiscono tale una casa, non tanto in senso “fisico” o edilizio ma più in senso affettivo. La protagonista ne è la prova evidente, un punto interrogativo continuo, un volto che potrebbe essere uno dei tanti ma che sembra passare in secondo piano perché è solo ciò che vuole mostrare a dover essere riversato sul lettore, non il suo aspetto o la sua identità.

La voce narrante, senza nome e senza volto, raccontandosi intimamente e in prima persona mostra quanto la sua vita e le sue scelte l’abbiano portata a destrutturare il significato stesso di dimora. Sappiamo tutto e al tempo stesso poco di lei, ma è nei dettagli di ciò che rivela che si nota quanto sia logorante vivere dopo aver messo un punto finale alla sua storia precedente, aver lasciato andare sua figlia che appare come un puntino intermittente su una mappa virtuale. 

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È curiosa questa scelta di Judith Hermann di raccontare di una persona “qualunque” in un momento della sua vita in cui è a un bivio, in cui nonostante abbia lasciato da parte la sua storia più importante ci ritorni con la mente, si rivolga direttamente a lui con qualche riga per raccontargli dettagli apparentemente insignificanti che però messi insieme narrano anche di quanto sia difficile muovere passi avanti dopo aver costruito insieme e per tanto tempo una dimora in senso letterale e averla “persa”.

Quel senso di familiarità non esiste più, una volta messo un punto finale ripartire è difficile. Volti nuovi, luoghi che spaventano e momenti pronti ad essere immortalati dagli occhi: questo è lo spirito del romanzo. Raccontare ciò che avviene dopo visto da chi è emotivamente ancora provato e non sa se sta andando nella giusta direzione o se ci sarà una brusca inversione che porterà ad affrontare qualcosa che non si è pronti a fronteggiare è l’aspetto più interessante della narrazione. 

Profonda è la tematica di trovare se stessi, Judith Hermann la raccontata in maniera visiva, tratteggiando silenzi rumorosi e dipingendo di colori vividi panorami mozzafiato. C’è vita, caos e paura nella voce narrante, una voce senza nome, una donna come tante all’apparenza con cui ho faticato ad entrare in empatia perché non sono riuscita a “viverla” a pieno, il non conoscere la sua identità mi ha reso difficile immedesimarmi in lei, nonostante comprendessi il suo vissuto e ciò che provava, non sono riuscita fino alla fine a fare mie quelle sensazioni. Soltanto la difficoltà che la protagonista trova nel ricominciare da zero mi è familiare, in quanto io stessa ho vissuto una situazione simile più e più volte. Ricordo la paura e ricordo la sicurezza dei momenti già vissuti che in un nuovo ambiente però sono solo ricordi, appoggi che però non danno la garanzia di farcela. 

Il fatto di non conoscere l’identità di chi racconta ha reso il narratore qualcosa che non riuscivo a definire con chiarezza, una voce fra tante, come in uno di quei programmi in cui le persone vengono intervistate sulle sciagure della loro vita, ma non le si vede in faccia, solo su una sedia, di spalle, un po’ per preservare la loro privacy, un po’ per renderle qualcosa di impersonale, allo stesso modo, però, la storia narrata grazie a questo espediente assume una certa importanza, diventa quasi più cruda così che vista da altre angolazioni.

A casa, quindi, non è solo un luogo intriso di ricordi, è un’esperienza collettiva, un racconto di una sola voce che però abbraccia tanti vissuti.

«Otis e io parlavamo spesso così quando restavamo a letto dopo l’amore. Avvolti in una cecità silenziosa e sorda, pervasa di ottimismo e tenerezza. Poco dopo ci saremmo alzati, rivestiti, separati. Adesso non andiamo più a letto insieme, queste conversazioni sono finite, e non è chiaro se siano servite a qualcosa, se abbiano portato a qualcosa o ci abbiano fatto progredire in qualche modo.»

 

 

 

 

 

disclaimer: si ringrazia l’ufficio stampa di Fazi Editore per la copia omaggio.

 

 

 

May the Force be with you!
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