#indiebooks: Distanza di sicurezza di Samanta Schweblin (SUR)

Cominciamo la settimana con “Distanza di sicurezza” di Samanta Schweblin, pubblicato da Edizioni Sur e tradotto da Roberta Bovaia, libro che ho scelto per la #indiebooks di  @misstortellino.

Data di uscita: Luglio 2020

Acquistalo subito: Distanza di sicurezza

Editore: SUR
Traduzione: Roberta Bovaia

Prezzo: € 15,00
Pagine: 112

Una giovane donna di nome Amanda giace in un letto d’ospedale. Un bambino, David, le siede accanto. Lei non è sua madre; lui non è suo figlio. Nel travolgente dialogo tra i due si dipana una storia di anime spezzate, sullo sfondo di una campagna oscura invasa da liquami tossici: la realtà che si fa sogno, o forse incubo. Perché la donna è in fin di vita? E dov’è la piccola Nina, figlia di Amanda? Quella che era iniziata come una tranquilla vacanza estiva, in mezzo alla natura e lontano dalla città, si trasforma per la protagonista in un susseguirsi di eventi dai contorni soprannaturali, eppure così d’impatto che per Amanda è impossibile ignorarli: l’incontro con la vicina Carla, la malattia di David, il bisogno a tratti irrazionale di non perdere mai di vista la figlia Nina, i campi di soia che sembrano avere vita propria…

Ci sono storie che arrivano dritte al punto, partono dall’inizio e arrivano alla fine, una certezza assoluta, mentre ce ne sono altre che sono più complesse, sembrano quasi un delirio, ma mentre si scava più in profondità si scoprono sia l’inizio che la fine di questo bizzarro racconto, un po’ come se un bambino avesse sparso i pezzi di un puzzle. Per me è questo Samanta Schweblin, un’autrice capace di immergere il suo lettore in una storia grottesca che si scopre poco alla volta, rimettendo a posto quei pezzi sparsi per dare forma a ciò che è accaduto a Amanda e sua figlia Nina, le protagoniste di questo breve romanzo.

La distanza di sicurezza viene descritta come un filo che lega Amanda e Nina, sempre sul punto di spezzarsi, teso quando la figlia si allontana da sua madre e anche quando quest’ultima avverte un pericolo per la sua piccola. È quasi come se il cordone ombelicale non fosse stato reciso alla nascita di Nina, come se questo legame così intimo fosse rimasto invariato sin dal suo primo giorno di vita. Detto così, il romanzo di Samanta Schweblin sembrerebbe scavare soltanto nel rapporto fra genitori e figli, ma ahimé, va anche oltre, allungando quel filo che lega le protagoniste per raccontare una storia cruda, fatta di misticismo e amnesie in cui l’unico modo per rimettere insieme i pezzi è rispondere alle domande di David, un misterioso bambino che sembra quasi non essere umano per la freddezza con cui parla.

David è il figlio di Carla, la sua vicina durante il periodo di vacanza che si era concessa assieme alla sua famiglia, una donna che sembra nascondere qualcosa di strano dietro ai suoi modi amichevoli, come se sotto la maschera sorridente della buona vicina si nascondesse il dolore e la consapevolezza di vivere affianco ad uno sconosciuto che lei chiama “figlio”. Infatti, suo figlio David da piccolo è stato vittima di un’intossicazione che lo avrebbe portato alla morte se Carla non avesse scelto la via più drastica per curarlo, ma nel farlo si ritrova ad aver perso il David che conosceva, accogliendo in casa “il mostro”, colui che non riesce neanche a guardare e di cui ha paura.

Amanda si ritrova ad essere travolta dagli eventi, a sentire il filo che lega lei e Nina sempre più teso, la sua vista è offuscata e non ricorda com’è finita in ospedale, ma è parlando con David, fra dialoghi febbricitanti e togliendo quei pezzi all’apparenza superflui che l’autrice ci racconta una triste storia, quella di una città ormai fantasma destinata a vedere i suoi abitanti fare la stessa fine: essere seppelliti in quella terra arida e tossica che ha reso la loro vita un inferno. 

Ed è così che il filo si spezza, i ricordi di Amanda si sparpagliano per terra, diventando parte di quel terreno che l’ha contaminata, diventando a loro volta tossici, dolorosi e insopportabili. Quando anche ricordare diventa pericoloso è lì che ci attende la sofferenza, quindi è bene fare un passo indietro, tornare a quella distanza di sicurezza che sembrava perduta, quel limite sicuro dietro il quale è possibile ancora fare dietro-front e tornare sui propri passi. 

Distanza di sicurezza mi ha colpita per la trama, ma mi ha catturata per lo stile. Samanta Schweblin sceglie di dare forma ad una conversazione che pare un delirio e vi racchiude ogni cosa, la paura, l’angoscia e anche quelle immagini dolorose che mettono a dura prova anche i legami più forti. 

La chiamo «distanza di sicurezza», così definisco la distanza variabile che mi separa da mia figlia, e passo metà del tempo a calcolarla, anche se poi rischio sempre più del dovuto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

May the Force be with you!
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