Tea Time: La mia Ingeborg di Tore Renberg (Fazi Editore)

Instagram: @brivididicarta | @lastambergadinchiostro

Un té ustionante è quello che ci vuole per parlare de “La mia Ingeborg” di Tore Renberg, romanzo che devo dire mi ha sorpresa, uscito da poco per Fazi Editore con la traduzione di Margherita Podestà Heir.

Data di uscita: 6 Febbraio

Acquistalo subito: La mia Ingeborg

Editore: Fazi Editore
Collana: Le strade
Traduzione: Margherita Podestà Heir
Genere: Narrativa
Pagine: 180
Prezzo: € 9,99 (E-book) |€ 18,00 (cartaceo) 

Tollak è un uomo pieno di contraddizioni: testardo e sensibile, rude e orgoglioso. Un uomo impossibile, a detta di molti. Ormai vecchio e solo, barricato nella sua fattoria, non fa che imprecare contro il mondo che da tempo, per lui, ha smesso di avere senso. L’unica persona che lo teneva attaccato alla vita era lei: sua moglie Ingeborg, amatissima, scomparsa da qualche anno. “Tollak di Ingeborg”, lo chiamava la gente del paese. I suoi due figli, ora adulti, hanno abbandonato la valle, teatro di un’infanzia difficile; oggi vivono in città e passano a trovarlo di rado. Soltanto Oddo è rimasto con lui: “Oddoloscemo”, per i vicini, lo zimbello di tutti, un ragazzo problematico di cui si prende cura da quando, ancora bambino, è stato abbandonato dalla madre. La vita di Tollak, soprattutto negli ultimi anni, è stata avvolta nel silenzio: troppo difficile dare voce alla rabbia che gli brucia dentro. Ma ora è giunto il momento di parlare, di raccontare finalmente la sua verità. Così, l’uomo insiste affinché sua figlia e suo figlio tornino a casa ancora una volta, forse l’ultima. Prima che sia troppo tardi ha bisogno di condividere il suo segreto. O meglio, i suoi segreti: le verità che Tollak ha sempre tenuto per sé sono molte, e sono una più sconvolgente dell’altra.

Mi serviva un momento per fermarmi e riflettere sulla mia ultima lettura con una “coccola” ustionante per sopravvivere a questa settimana frenetica. Sulle note persistenti di un mix di té verde e fiori di sambuco oggi parliamo di un romanzo breve e di una crudezza disumana, un racconto intenso e atroce intitolato “La mia Ingeborg”.

Il protagonista di questo tea time è il romanzo di Tore Renberg, autore norvegese che in breve tempo ha conquistato i librai e la critica norrena per il suo stile graffiante e al tempo stesso introspettivo che dipinge il lato oscuro di una famiglia trascinata sul fondo di un baratro proprio da quella figura che dovrebbe invece guidare gli altri. Con una figura paterna così distorta è solo questione di tempo prima che ogni membro della famiglia si ritrovi ad osservare da così vicino il proprio abisso senza aver modo di risalire.

Dal titolo, “La mia Ingeborg”, sembra quasi di avere a che fare con un romanzo che può essere una lettera d’amore a una compagna scomparsa o perduta per qualche motivo, un tentativo di ricordare un rapporto felice o di riallacciarlo, ma calandosi poco alla volta all’interno di questa famiglia come fa uno speleologo in una voragine scopriamo che il fondo di questa vicenda è oscuro, irraggiungibile, come se questa profonda caverna fosse stata scavata con il solo scopo di togliere il terreno da sotto i piedi dell’umanità.

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La voce narrante è quella di Tollak, infatti, un uomo violento e chiuso nella sua bolla di ignoranza e pregiudizio. Per scelta ha deciso di allontanarsi dal mondo e da ciò che è nuovo, trattenendo con sé anche la sua famiglia, costretta a rimanere in quella valle dimenticata da chiunque e dalla quale nessuno vuol fare ritorno. Ingeborg, sua moglie, è diversa. Lei ama la vita, ama circondarsi di persone e stimoli nuovi ed è per questo che quando scompare tutti coloro che ha conosciuto si sono dimostrati disposti ad aiutare nelle ricerche. Lui questo lo detesta e la consapevolezza che i suoi figli hanno scelto di andarsene lo distrugge e poco a poco quello che mi sembrava un’ode all’amore si trasforma in un brutto sogno ad occhi aperti.

Inesorabilmente il lettore si ritrova a precipitare nel vuoto, vedendo gli orrori commessi da questo padre di famiglia, scorrergli davanti come le scene tagliate di un film, quelle che si scartano o perché troppo violente o perché fastidiose da vedere, in ogni caso più si scende e più l’oscurità diventa pesante, si inizia a chiedersi se un solo uomo sia capace di contenere tutto questo male e questa rabbia dentro il suo animo, ma soprattutto ci si chiede che cosa accade quando poi finisce inevitabilmente per rompersi l’involucro che contiene tutta questa malvagità.

Ed è qui che invece arriva la frenata, la corda che ci tiene saldi ci da uno strattone perché arrivato al suo limite e nonostante non si veda ancora il fondo del baratro la luce proveniente dalla sua apertura ci regala quella speranza che ci sia un modo per riemergere da questa oscurità. Tollak sa di essere una persona sbagliata, piena di odio e pregiudizi, cattiveria e rabbia ma allo stesso tempo non può fare a meno di notare tutti i pregi di sua moglie Ingeborg, tutti i suoi lati più belli, quelli che consapevolmente continua a demolire imponendosi con la forza come sola presenza dominante.

La visione di Tollak dell’amore e della vita, quindi, non è altro che un filtro ben costruito. Ogni immagine avvolgente viene messa in discussione dalla voce dei suoi figli, i soli che riescono a rendere nitida e realistica la parte oscura di questa triste vicenda, riversando su chi legge quello che manca, quello che ogni tanto Tollak accenna e che in un momento di vulnerabilità assoluta è costretto a tirare fuori, infrangendo una volta per tutti la sua idilliaca visione d’amore per Ingeborg, il suo disperato tentativo di coprire ancora una volta con un cerotto di fortuna una ferita ancora del tutto aperta.

Non lasciatevi ingannare dall’abbraccio di Alisher Kushakov in copertina, quel momento così intimo immortalato su tela su una chiazza di rosso prepotente, che si fonde alla perfezione con la figura femminile, contrastata dal nero e dal chiarore della controparte maschile, scelta azzeccata per questo romanzo. 

La mia Ingeborg è una donna vitale, aperta a tutto e a tutti, disponibile e gentile; lo è a tal punto da farsi trascinare nel baratro dei peccati e dei vizi di un uomo vuoto.

«Non posso raccontare ai miei figli di quelle sere. Le sere in cui ci amavamo alla follia. Le sere in cui il suo corpo compiva quella che io chiamo arte, mentre il mio corpo era natura.»

 

 

 

 

 

disclaimer: si ringrazia l’ufficio stampa di Fazi Editore per la copia omaggio.

 

 

 

May the Force be with you!
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