Quando penso a Spider-Man: Homecoming mi viene in mente lui, Il padre dell’universo Marvel, Stan Lee, di cui vi ho parlato a novembre dell’anno scorso nel profilo tracciato da Bob Batchelor, biografia portata in Italia da Leone Editore che io non posso fare a meno di consigliarvi. Sono passati due anni da uno dei suoi ultimi cameo eppure resta indimenticabile la sua spontaneità, spensieratezza ed ironia mentre si affaccia dalla finestra per cantarle a Spidey.
Oggi andrò a vedere Spider-Man: Far From Home e non lo nego, malinconia a parte, sono elettrizzata all’idea di rivedere Peter in azione in quello che spero sia un degno sequel per L’Uomo Ragno e per questo motivo prima facciamo un passo indietro, al 2017, quando in Italia veniva proiettato per la prima volta Homecoming, film che continuo a rivedere perchè nonostante tutto Tom Holland come nuovo Spidey a me non dispiace. Certo, resterò per sempre affezionata a Tobey Maguire nel ruolo di Peter, ma devo ammettere che questo salto un po’ frizzante è come una ventata di aria fresca dopo la tragica fine della duologia di The Amazing Spider-Man.
Una storia vecchia come il mondo. Otto anni prima un uomo, in questo caso Adrian Toomes, perde il lavoro per “colpa” di Stark e decide di passare al lato oscuro, contrabbandare armi aliene e non per venderle a chiunque sia disposto a comprarle, gente comune o criminali non ha importanza, quello che conta è che possano avere denaro sufficiente per permettersi di acquistare. Adrian così diventa L’Avvoltoio, un uomo che si è creato un lavoro per non venire schiacciato dagli Avengers, eroi uniti per salvare il mondo.
E questo ci porta a Peter Parker, giovanotto intelligente ed iperattivo, fresco di arruolamento negli Avengers. È così elettrizzato di far parte di un gruppo come questo da non pensare neanche per un momento di essere solo una pedina di un gioco più grande di lui. Da quando la sua vita è cambiata attende un’altra occasione per dimostrare il suo valore, qualche impresa eroica che possa portarlo ad essere considerato dai suoi compagni come un valido membro degli Avengers e non solo come un ragazzino tappabuchi.
Per un ragazzino come Peter però si tratta soltanto di un rifiuto, di vedersi privato della possibilità di rendersi utile, trascurando il fatto che si può fare del bene anche nel Queens, poco alla volta, con piccoli gesti. Questa sua avventatezza lo porterà a compiere scelte difficili, a dare per scontato il suo valore e mettere in pericolo non solo se stesso ma anche i suoi amici, proprio quello che Tony cercava di evitare. Ed è qui che impara sulla sua pelle che ogni azione ha delle conseguenze, specialmente se si hanno superpoteri. Una volta combinato un disastro Stark fa un passo indietro, gli sottrae il costume e sembra essere arrivata la fine per l’Uomo Ragno.
Da un grande potere derivano grandi responsabilità, una frase che abbiamo sentito diverse volte, ma che un Peter ancora ragazzino non è in grado di cogliere, non mentre senza costume è costretto a fare i conti con se stesso, con un pericolo imminente e la disperata voglia di rimettere tutto a posto, di non far preoccupare la cara zia May (ringiovanita) e non deludere più nessuno. La vita di un eroe non è facile come sembra, i pro e i contro di cui tenere conto sono tantissimi e spesso e volentieri bisogna avere i riflessi pronti e prendere decisioni all’istante.
Quindi ricapitolando, questo è un film in cui non assistiamo alle origini dell’Uomo Ragno ma alla sua disfatta, tuttavia come la fenice Peter Parker rinasce dalle sue ceneri, investito di una nuova gloria che lo porterà ad affrontare il suo primo vero nemico, uno scontro emozionante che lo segnerà per sempre, dandogli la possibilità di crescere e di diventare qualcosa di più di un semplice ragazzino tappabuchi, un vero eroe.