Vincoli. Alle origini di Holt di Kent Haruf | Recensione di Deborah

 

Questa campagna era sabbiosa ed era arida e perlopiù era piatta, con qualche bassa collina di sabbia che si perdeva a nordest, verso la regione del Nebraska Panhandle. Praticamente non c’erano alberi. Persino oggi non se ne vedono molti da queste parti, anche se a Holt ormai ci sono alberi adulti piantati nei cortili da chi abitava qui sessanta o settant’anni fa – olmi e sempreverdi e pioppi e frassini, e di tanto in tanto un acero rachitico che qualcuno aveva cercato di far crescere con più speranze di quante la conoscenza di questa zona avrebbe suggerito.

 

 

Vincoli. Alle origini di Holt di Kent Haruf

Editore: NNEditore
Data di uscita: 5 novembre 2018
Pagine: 260
Prezzo: 18.00 €
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È la primavera del 1977 a Holt, Colorado. Edith Goodnough giace in un letto d’ospedale, e un poliziotto sorveglia la sua stanza. Pochi mesi prima, un incendio ha distrutto la casa dove Edith abitava con il fratello Lyman. Un giorno, un cronista arriva in città a indagare sull’incidente e si rivolge a Sanders Roscoe, il vicino di casa, che non accetta di parlare per proteggere Edith. Ma è proprio la voce di Sanders a raccontarci di lei e del fratello, di una storia che inizia nel 1906, quando Roy e Ada Goodnough sono arrivati a Holt in cerca di terra e di fortuna. La storia di Edith si lega a quella del padre di Sanders, John Roscoe, che ha condiviso con loro la dura vita nei campi, in quella infinita distesa di polvere che era la campagna del Colorado.

 

 

 

Questo weekend si respira aria di festa, anche se io mi sono portata avanti largamente in anticipo è il giorno ideale per tradizione in cui bisogna ultimare alberto di Natale e presepe; anche se non sono a casa a godermi le decorazioni natalizie sto ammirando panorami da sogno sulle cime delle montagne che amo. È ora di salutare il freddo e la neve per approdare nella arida e sabbiosa campagna del Colorado, una terra sterile e cruda, una cittadina immaginaria che per me è molto più reale di luoghi veramente esistenti, oggi si torna a casa, si torna ad Holt. Il nuovo romanzo di Kent Haruf, Vincoli. Alle origini di Holt, ci regala una panoramica della sua nascita, quando ancora il governo americano distribuiva opuscoli che promettevano a chi aveva il coraggio di trasferirsi terre libere e fertili.

 

Se Edith e Lyman fossero stati ragazzi di città, le cose sarebbero potute andare diversamente. Persino nel 1915 i ragazzi di città avevano qualche opportunità di fuga in più rispetto ai ragazzi di campagna. I ragazzi di città potevano andarsene e camminare per dieci o quindici isolati oppure saltare su un tram e finire in un posto talmente lontano da cosa da sembrare un altro stato, addirittura un’altra nazione. A quel punto potevano farcela o non farcela, e ricominciare la loro vita oppure falla finita, ma in ogni caso almeno i legami erano stati sciolti, i confini di casa varcati.

 

È ciò che decide si fare il vecchio Roy Goodnough, che nel 1896 tanto vecchio poi non era, anzi, si era sposato da poco e ingolosito dalla possibilità offerta dagli opuscoli trascinò la moglie su un carretto con tutti i loro pochi averi, la costrinse ad abbandonare il suo amato Iowa per recarsi in Colorado. Quando arrivarono a destinazione i giovani sposi si trovarono di fronte una terra totalmente diversa da quella che avevano immaginato, erano sicuri di trovare gli stessi campi fertili che avevano salutato, ed invece erano circondati da colline aride e sabbiose. Questo non scoraggiò Roy, riuscì ad acquistare un pezzo di terra e dopo lunghi sacrifici riuscì a costruire una casa completamente da solo. A quel tempo la cittadina di Holt contava due case, una taverna e poco altro, i Goodnough vivevano circondati dalle campagne e dal loro lavoro; ad un chilometro e mezzo di distanza avevano una vicina, una donna sola con un bambino piccolo, una famiglia discendente dai nativi americani.  Dopo qualche anno arrivò Edith, e dopo un paio di anni ancora nacque Lyman, appena i bambini furono grandi abbastanza per rendersi utili Roy li mise subito al lavoro, rubandogli l’infanzia e l’adolescenza.

 

Quanto fa 365 per 20? Qualcosa più di settemila, giusto? Be’ ecco quanto è durato. Ecco quanti giorni è durato. Per oltre settemila giorni, per almeno vent’anni, ai Goodnough non successe niente. Roy si tagliò l’ultimo dito con la scure e poi niente successe ai Goonough – e nemmeno per loro – finché non furono trascorsi quasi due decenni di lenti giorni. Giorni che devono essere sembrati crudeli come partorire un bambino morto; la loro inutilità, la loro monotonia, una lenta giornata che lentamente scivola nella seguente, senza sosta e senza tregua, senza aspettative e senza ricordi.

 

Edith e Lyman furono ragazzi molto sfortunati, primo di tutto perché ebbero il dispotico Roy Goodnough come padre, inoltre nacquero in campagna e per i successivi decenni conobbero solo polvere, sudore e lavoro. La signora Goodnough non riuscì mai ad ambientarsi nell’arida campagna del Colorado, provava una forte nostalgia di casa e non riusciva a capacitarsi di non poter più tornare nell’Iowa; troppo presto di ammalò e morì lasciando i suoi due figli tra gli artigli di Roy. La vita avanzava giorno per giorno sempre uguale, i ragazzi erano costretti a lavorare dall’alba al tramonto senza mai conoscere uno svago o un piacere, venivano trattati dal padre come bestie da soma. Ci fu un’estate più piacevole tanti anni fa, quando Edith aveva venticinque anni ed iniziò a frequentare il vicino di casa John Roscoe, lo stesso John che aiutava la famiglia Goodnough con il lavoro nei campi, la stessa persona che assistì al tragico incidente con un macchinario agricolo in cui Roy perse tutte le dita delle mani, tranne un mignolo. Da quel maledetto giorno la vita di Edith e Lyman peggiorò ulteriormente, il padre era ormai solo in grado di sbraitare e dare ordini tutto il giorno non essendo più autosufficiente, la speranza di spezzare il vincolo famigliare ed iniziare a vivere era svanita.

 

Mentre lo osservavamo, papà mi disse: Ecco un momento storico che non comparirà nei libri di storia. Ma stava parlando più con se stesso che con me. Alla fine arrivò il treno, facendo tremare il suolo, con la luce del faro che oscillava avanti e indietro sui binari, e scendemmo per salutarlo. Al chiarore della lanterna del capotreno, vidi che gli occhi di Lyman erano arrossati per il freddo e che sulla punta del suo naso c’era una goccia di muco acquoso. Aveva un’aria infreddolita e spaventata. Mio padre gli strinse la mano e Lyman mi diede una pacca sulla spalla, poi salì i gradini del treno, con il lungo giaccone, le scarpe buone e i paraorecchie in velluto legati stretti sotto il mento, e quella fu l’ultima volta che lo vedemmo.

 

La relazione tra Edith e John si dissolse come un pugno di sabbia lanciato al vento, Edith non aveva la possibilità di sposare l’uomo che amava e trasferirsi ad un chilometro e mezzo di distanza dal padre, non poteva e basta. Trascorsero circa due decenni e scoppiò la seconda Guerra Mondiale prima che qualcosa cambiò. Una notte Lyman si presentò vestito di tutto punto e con in mano una valigia sgangherata alla porta di John Roscoe, chiese un passaggio per la stazione perché si sarebbe voluto arruolare e combattere per il suo paese, tutto ciò all’insaputa del vecchio con i moncherini. Nel frattempo John si era sposato con una donna che non amava, avevano avuto un figlio Sanders. Sanders è il narratore della storia, Kent Haruf attraverso la voce del figlio di Roscoe ci catapulta indietro nel tempo, ci fa vivere questa emozionante storia. Torniamo a quella fredda sera, quella notte in cui un ormai più che quarantenne Lyman, con il pieno appoggio della sorella spezzo i vincoli familiare e se ne andò di casa, lontano, il più lontano possibile da quel vecchio tiranno. Lyman trascorse i successivi vent’anni girovagando attraverso gli Stati Uniti, si trasferì di città in città e inviava ogni tanto ad Edith delle cartoline. La donna era sicura che il fratello sarebbe tornato prima o poi, intanto la sua vita era diventata un vero inferno perché doveva sopportare da sola le angherie del vecchio e svolgere tutti i lavori da sola, fino a che John inviò suo figlio Sandy per aiutare i Goodnough con la fattoria, proprio come fece lui alla sua età.

 

E così tornai a casa per sempre. A ventidue anni mi presi la responsabilità di gestire la fattoria di mio padre, il grande allevamento di bestiame e gli appezzamenti coltivati. Quando subentrai a lui, praticamente non c’erano debiti. In compenso c’era molto lavoro e nel giro di poco tempo incominciai a scoprire cosa significava essere mio padre nella contea di Holt: prendere decisioni con cui poi eri costretto a convivere. Nel frattempo mia madre e io raggiungemmo una sorte di tregua vigile e muta. Ci parlavamo solo quando era necessario.

 

Nonostante trascorsero tanti anni Edith ebbe ragione, Lyman ritornò a casa a bordo di una Pontiac fiammante, carico di storie da raccontare. I successivi anni furono i più felici, nel frattempo il vecchio con i moncherini era morto, Edith e Lyman erano liberi dal suo giogo e finalmente arrivò il turno anche della donna di iniziare a vivere la vita. I due fratelli trascorsero i successivi anni a girovagare per il paese, Edith in età avanzata riuscì a conoscere una realtà diversa rispetto alla fattoria, al lavoro, alla polvere e al sudore. Purtroppo la felicità durò pochissimo rispetto al tempo di attesa, una giornata felice e spensierata si rivelò una tragedia, una tragedia che porto Lyman al tracollo. Il vecchio non si riprese più da quel giorno, diventò assente e si rifugiò nel proprio mondo immaginario, così Edith dovette tornare al lavoro nella fattoria e occuparsi del fratello non più indipendente. Purtroppo la malattia di Lyman avanzò velocemente, in pochi anni diventò intrattabile e violento, si rivelò essere un pericolo per sé stesso e per le persone che amava; questa situazione fu insopportabile per Edith che maturò una decisione, una scelta che la portò ad essere accusata di omicidio in un letto di ospedale, tutto a causa di un giovane giornalista ficcanaso approdato ad Holt dalla città.

 

Tutto ciò che sono in grado di dirti è che a un certo punto, tra marzo e dicembre, Edith Goodnough decise da sé cosa fare di suo fratello. Non chiese un parere a nessuno. Non è il tipo di cosa che si discute con altri. Del resto come cavolo si fa a dire una cosa simile? – Senti un pò, ti pare una buona idea se faccio questo e questo? No, Edith prese la decisione da sola. Era una scelta personale, solitaria, che spettava a lei. Ma posso dirti quello che aveva deciso. Io ero presente all’epilogo. E in questi ultimi tre mesi e mezzo ha avuto il tempo di dirmi il resto, di dirmi come aveva riempito le ore che la avevano condotta a quel finale.

 

Vincoli. Alle origini di Holt è un romanzo emozionante e coinvolgente, è il perfetto preludio alle storie intrecciate della Trilogia della pianura, introduce alle atmosfere agresti e famigliari che si respirano ad Holt. Fa capire al lettore quanto i vincoli familiari siano difficile sa spezzare, specialmente in una realtà di campagna di tanti anni fa; per noi questa realtà può sembrare strana ed esasperata, trovo che sia proprio la lontananza dal nostro pensiero a renderla così affascinante. La voce di Kent Haruf è melodiosa e musicale, proprio fin dalla creazione di Holt e dei suoi abitanti, uno stile unico ed inconfondibile che, sono sicura, vi stregherà! Tornare ad Holt è sempre come tornare a casa dopo un periodo di lontananza e ritrovare un ambiente caldo e familiare; è come incontrare dei vecchi amici, anche se in questo caso sono persone di carta e inchiostro.

 

 

 

 

 

 

 

Desclaimer: si ringrazia l’ufficio stampa di NNEditore per la copia omaggio

May the Force be with you!
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